Arvedi, 240 milioni per accelerare nella produzione di acciaio sostenibile

Finanziamento nell’ambito del Green New Deal europeo con garanzia Sace: in ballo tre progetti a Cremona e Trieste
Una veduta della Ferriera (Silvano)
Una veduta della Ferriera (Silvano)

TRIESTE Un prestito da 240 milioni di euro per accelerare sulla via della decarbonizzazione. Il gruppo siderurgico Arvedi è il primo in Italia a sottoscrivere un finanziamento nell’ambito del Green New Deal europeo con la garanzia di Sace, società di Cassa depositi e prestiti, specializzata nel sostegno economico alle imprese italiane. Attraverso il nuovo strumento finanziario, la compagnia che a Trieste possiede la Ferriera di Servola incamera una cospicua somma di danaro per riconvertirsi alla produzione pulita di acciaio: risorse che vanno ad aggiungersi agli 80 milioni, stavolta a fondo perduto, che saranno versati dal Mise a sostegno della riqualificazione della Ferriera, con la trasformazione dell’area a caldo in terminal portuale e il rafforzamento della capacità produttiva del laminatoio a freddo.

Arvedi è uno dei principali attori europei nel campo dell’acciaio e sigla ora la prima operazione italiana legata al Green New Deal, il piano Ue pensato per promuovere l’economia circolare e sistemi di produzione più sostenibili. Il gruppo è attento alle opportunità che arrivano da Bruxelles, tanto che nel 2015 Arvedi fu la prima azienda europea ad attingere ai fondi del piano Junker. In questo caso il finanziamento beneficia anche di un sistema premiante in funzione del raggiungimento di determinati parametri di sostenibilità nel ciclo produttivo dell’acciaio. Si tratta di un campo in cui la società cremonese è all’avanguardia a livello mondiale, dopo aver introdotto cicli produttivi che partono dai rottami ferrosi e non hanno dunque bisogno di ghisa e carbone, perché basati su riciclo e impiego di forni elettrici.

Al di là delle spinte politiche, la dismissione dell’altoforno triestino dipende in buona parte da questo e dalla decisione di acquistare ghisa direttamente dall’estero. L’obiettivo di Arvedi è basare il 75% della propria produzione su acciaio riciclato entro il 2023. L’operazione poggia su un contratto di finanziamento siglato dal gruppo con un pool di banche finanziatrici: oltre a Intesa San Paolo nel ruolo di capofila, la lista si compone di Bln, Bnp Paribas, Banco Bpm, Crédit Agricole, UniCredit, Unione di banche italiane, Monte dei Paschi, Banca del Mezzogiorno e Banca di Piacenza. Sace si farà garante del 70% dei 165 milioni della prima tranche. Si tratta di una prima volta per il mercato finanziario nazionale: mai finora una società italiana aveva sottoscritto un finanziamento garantito da Sace nell’ambito del Green New Deal. Arvedi riceverà in sei anni un prestito da 240 milioni, che interesserà diversi rami del gruppo: una prima tranche da 165 milioni andrà a favore di Acciaieria Arvedi, mentre i 75 milioni rimanenti andranno sia ad Acciaieria Arvedi che alle controllate Arvedi tubi acciaio e Centro siderurgico industriale. Stando alla nota diramata per annunciare il finanziamento, le risorse daranno corpo a tre progetti fra Trieste e Cremona.

La compagnia non entra nel merito, ma nel caso di Trieste si tratta quasi certamente di interventi dedicati a laminatoio e centrale elettrica, interessati anche dai finanziamenti a fondo perduto che verranno erogati dal ministero dello Sviluppo economico per incentivare la chiusura dell’area a caldo, con la trasformazione in chiave logistica dei terreni occupati da altoforno e cokeria. Il ministro Stefano Patuanelli ha stanziato in totale 80 milioni: 55 saranno impiegati a Servola e altri 25 ricadranno sugli impianti di Cremona. Nel caso di Trieste, i fondi serviranno al potenziamento del laminatoio e alla riconversione della centrale, che cesserà di usare i gas residui della produzione di ghisa e passerà al metano. —

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