Benetton Group ripensa la struttura produttiva: chiude anche la Croazia
L’Ad Claudio Sforza razionalizza la rete di stabilimenti per allineare United Colors ai big mondiali. Prosegue il piano di eliminazione dei negozi non performanti. Negli store diretti ricavi a +7%
Benetton Group sta provando a recuperare un ritardo di quasi un decennio rispetto a competitor come Zara e Uniqlo, dove l’efficienza produttiva e la velocità della rotazione delle collezioni è affidata all’elasticità di produttori terzi specializzati.
La sfida dell’ad Claudio Sforza è quella di riallineare i Colori Uniti agli standard del mercato globale dell'abbigliamento. Il piano di ristrutturazione condotto dal manager mira dunque a ridurre le inefficienze produttive e a razionalizzare la rete commerciale, due pilastri essenziali per il rilancio del brand.
Il settore dell’abbigliamento ha ormai adottato modelli produttivi basati sulla completa esternalizzazione, seguendo l’esempio di giganti come H&M, Nike, Adidas e Uniqlo. Al contrario, Benetton Group presenta una filiera ancora parzialmente integrata: solo il 60% della produzione è affidato a fornitori esterni, mentre il restante 40% è gestito in stabilimenti di proprietà. Questo approccio genera inefficienze sia in termini di costi che di tempi produttivi, con la produzione di nuove collezioni che richiede oltre 12 mesi (6 i mesi previsti dal piano di Sforza).
Tra le iniziative del piano di ristrutturazione è stata dunque avviata la dismissione di alcuni stabilimenti. In Croazia, lo stabilimento di Osijek è stato chiuso dopo essere rimasto senza ordinativi dall’ottobre scorso. Circa 100 dipendenti sono stati licenziati con il pieno accordo delle organizzazioni sindacali e il supporto degli uffici di collocamento locali. L’immobile è ora in vendita. In Tunisia, invece, Benetton sta affrontando una riduzione degli ordinativi. La società è in dialogo con il governo tunisino e l’ambasciata italiana per favorire la cessione dello stabilimento a operatori locali, garantendo al contempo la continuità occupazionale. Proposte che prevedevano la sola acquisizione dell’immobile sono state rifiutate, in attesa di soluzioni che tutelino anche la forza lavoro.
La rete di vendita del Benetton Group è stata oggetto di un profondo intervento di cura. Dopo una crescita esuberante negli anni, la rete aveva assunto una configurazione capillare ma disomogenea. L’obiettivo di Sforza è chiaro: puntare sui flagship store, vetrine ad alta visibilità capaci di rappresentare il brand e generare valore.
I risultati di questa strategia iniziano a emergere. Nel 2024, i negozi diretti, inclusi i flagship Benetton, hanno registrato una crescita complessiva delle vendite del +7% rispetto al 2023, con un tasso di conversione delle presenze in negozio in acquisti effettivi che aumenta dell’1% (ora al 18,9%) nonostante un volume di visitatori stabile. Lo scontrino medio è cresciuto, passando da 63 euro nel 2023 a 64,3 nel 2024, nonostante uno sconto medio leggermente ridotto (dal 17,2% al 17%).
Le performance più significative sono state registrate nel Nord Est. Qui, le vendite degli store diretti tra Veneto e Trentino Alto Adige hanno raggiunto quasi 30 milioni di euro, segnando un incremento dell’8% sul 2023.
Parallelamente, il piano di razionalizzazione ha previsto la chiusura di 419 punti vendita in rosso strutturale entro la fine del 2025, portando il totale degli store da 3.500 a 3.081. Tra questi, circa 90 negozi, appartenenti a imprenditori terzi, hanno accumulato debiti per circa 30 milioni di euro. Tuttavia, la società sta cercando di minimizzare l’impatto occupazionale. All’estero, il focus è sulla Spagna, dove il piano prevede una razionalizzazione che garantirà la conservazione del 75% della rete, concentrandosi sui grandi centri urbani. Questo intervento si è reso necessario dopo che, tra il 2017 e il 2022, il numero dei negozi è aumentato del 44%, senza però registrare una crescita del fatturato.
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