«Soci industriali meglio dei fondi»: Calligaris al lavoro sul dopo Alpha

Parla il presidente dell’omonima azienda friulana di arredamento. La sua ricetta? Operazioni straordinarie e diversificazione del business. «Il private equity ha obiettivi a breve ed è orientato alla remunerazione»

Maura Delle Case
Alessandro Calligaris, titolare dell'omonima azienda
Alessandro Calligaris, titolare dell'omonima azienda

Nel 2007 l’avevano guardato in molti strabuzzando gli occhi per quella scelta, fuori dagli schemi, di aprire il capitale a un fondo di private equity. Nel Friuli delle aziende familiari, cedere un pezzo di società, per di più alla finanza, aveva avuto un effetto dirompente. Oggi, se non per la dimensione e il nome dell’azienda – parliamo di Calligaris –, quell’operazione sarebbe una delle tante perché nel frattempo, anche le aziende di casa nostra sono venute a patti con l’idea, poi divenuta consapevolezza, che per crescere e competere sui mercati servono capitali. E che se risorse proprie da investire non ce ne sono, allora bisogna andare a cercarle.

Alessandro Calligaris, presidente onorario dell’omonima azienda di Manzano, uno dei gioielli della produzione di arredamento di design in Friuli, testa di serie del gruppo Orbital Design Collective, lo aveva capito anzitempo. E pur con qualche aggiustamento di rotta – «dato dell’esperienza» precisa lui – continua a ritenere che la strada delle operazioni straordinarie – leitmotiv dell’appuntamento di giovedì 14 novembre alla Snaidero di Majano, dove sarà presentato Top 500 Fvg – resti una strada obbligata per le aziende che vogliono crescere.

Presidente Calligaris, nel 2007 è stato un pioniere...

«Ho stretto un’alleanza con un fondo gestito dal gruppo Lvmh e ci ho creduto molto, essendoci dietro un imprenditore (Bernard Arnault) con una grande visione. Diciamo che il periodo non è stato dei più felici: l’anno successivo è esploso il caso Lehman Brothers e il progetto non è proseguito come da previsioni».

Nel 2014 un altro colpo di scena...

«Mi sono ricomprato la quota del fondo. Non solo. Negli anni seguenti ho fatto due acquisizioni: ho rilevato un’azienda di imbottiti (Ditre Italia) e una di illuminazione (Luceplan), facendo di Calligaris un gruppo (realtà, con Connubia e Fatboy, da 225 milioni di ricavi nel 2023). A quel punto, per crescere, sono tornato a guardarmi intorno e ho ceduto la quota di maggioranza ad Alpha private equity (fondo paneuropeo con circa 1,5 miliardi di euro in gestione). Era il 2018».

Conoscendo il tempo di permanenza dei fondi in seno alle aziende, possiamo ritenere che ormai Alpha dovrebbe essere a fine ciclo. Progetti?

«Mi piacerebbe valutare l’ipotesi di un partner industriale, penso a imprese di settore coerenti con il nostro business che possano investire con noi in un progetto».

Basta finanza quindi?

«Diciamo che con l’esperienza ho capito che i fondi hanno obiettivi a breve termine, molto orientati sulla remunerazione dell’investimento. Per realtà come le nostre oggi ritengo più adeguati progetti di club finanziari familiari, che guardiano anzitutto allo sviluppo dell’azienda».

La sua è una storia di operazioni straordinarie, ma anche di diversificazione...

«Da qualche anno abbiamo iniziato a investire nell’hotéllerie e devo dire che il momento è dei più propizi. Dopo il momento di stallo del Covid, oggi c’è grande fermento, specie dal mercato americano, abbiamo presenze molto importanti, anche grazie al fatto che abbiamo puntato su strutture di livello, in città come Milano, Venezia, Firenze, Roma e Parigi, tutte in zone centrali. Oggi ne abbiamo quattro operative e una (nella capitale) in fase di ristrutturazione che sarà pronta la prossima primavera».

Hotel e non solo...

«Attraverso Antares, la nostra holding, abbiamo investito anche in aziende agricole, nel real estate e in diversi fondi di private equity, dove contiamo un centinaio di partecipazioni».

Un buon modo per mettersi al riparo dalle fluttuazioni di una congiuntura economica che dire complessa è poco...

«E le elezioni americane ci portano un elemento di complessità ulteriore, con Trump che vuol far tornare l’America un Paese più produttore che importatore. Questo sarà un problema per le nostre economie: dovranno farsi carico di dazi che certamente non favoriranno le esportazioni. Detto ciò, io credo che non saranno applicati comunque su tutti i prodotti e che l’impatto complessivo, anche a sentire gli analisti, non sarà poi così problematico. Uno zero virgola del Pil. L’Europa comunque deve rimboccarsi le maniche».

Cosa intende?

«Che dev’essere più autorevole, prendere decisioni che noi imprenditori chiediamo da anni, in tema di fiscalità, di debito pubblico, di difesa. È ora di dotarsi, in alcune materie, di una politica comunitaria e non più delegata ai singoli Stati: è l’unico modo per essere più forti. Non è un compito facile, né realizzabile in poco tempo, ma va affrontato se vogliamo evitare che l’Europa resti schiacciata tra due grandi blocchi». —

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