Carraro Group valuta un ritorno negli Usa

Il presidente Enrico Carraro: nel 2024 ricavi di gruppo in calo del 10% ma i margini tengono

Maurizio Caiaffa

Il 2025  come anno di recupero parziale di volumi e ricavi, in un mondo che concede scarsa visibilità, ed è diventato più complicato e di difficile interpretazione fra tensioni geopolitiche, guerra in Europa e i dazi minacciati dalla nuova presidenza Trump.

Ciononostante Carraro Group, attiva nei sistemi di trasmissione per trattori e macchine movimento terra, continua a investire e a condurre operazioni strategiche, come a fine anno la quotazione alla Borsa di Mumbai di Carraro India.

Così il presidente Enrico Carraro, 62 anni, in carica dal 2012, non dipinge un quadro a tinte troppo fosche. «Stiamo chiudendo il preconsuntivo 2024 – dice nel quartier generale di Campodarsego, anticipando la chiusura dei conti prevista a marzo – con un fatturato in calo di circa il 10%, effetto di una seconda parte di esercizio caratterizzato da una frenata più accentuata. Tuttavia la percentuale dei margini sul fatturato è intorno al 10%, ricordo che fino a qualche anno fa si attestava al 7-8%. E questo è il segno che le manovre che si fanno in questi tempi difficili, come il taglio dei costi, le economie, le razionalizzazioni, hanno sortito buoni risultati».

Da ricordare a questo proposito che i conti consolidati del primo semestre 2024 hanno fotografato ricavi pari a 397 milioni (meno 3,6% sullo stesso periodo del 2023) con Ebitda di 42,6 milioni (11% del fatturato) in aumento del 12% rispetto al 30 giugno 2023 (quando era pari a 38,9 milioni cioè 9,4% dei ricavi).

Insomma risultati da tempi che indurrebbero alla difensiva, per un gruppo che impiega oltre 3.800 dipendenti di cui 1.800 in Italia, e ha insediamenti produttivi in Italia (quattro), India, Cina e Argentina.

«Noi però – spiega Carraro – continuiamo a investire ogni anno fra i 40 e i 50 milioni, altrettanto faremo nel 2025. Sarà un anno senza forti rimbalzi, però di recupero dei ricavi, e magari avremo qualche sorpresa positiva nella seconda parte dell’esercizio. Stati Uniti ed Europa, con la Germania in testa, continueranno a soffrire, però Cina e India, dove siamo da tempo presenti con insediamenti produttivi al servizio dei nostri clienti locali, sono in controtendenza e accelerano. La Cina sta puntando di più sui consumi interni, e ora noi produciamo per clienti locali volumi per 100 milioni di euro sui 110 complessivi. Quanto all’India, è un mercato in crescita esplosiva, più concentrato sulla domanda domestica rispetto alla Cina».

Proprio nel subcontinente indiano, a fine 2024, il gruppo ha compiuto un passo importante, la quotazione di Carraro India alla Borsa di Mumbai. Carraro Group ha collocato il 31,2% della controllata per un controvalore pari a 140 milioni, come dire che il valore della capitalizzazione iniziale è stato pari a 450 milioni. Da ricordare che Carraro Group è in India dal 1997, ha il suo quartier generale a Pune dal 1997 e ora fattura 200 milioni di euro con oltre 1.600 dipendenti.

Carraro Group, tra previsioni 2025 e nuovi investimenti: parla il presidente

«La nostra filosofia – spiega Enrico Carraro – è sempre stata di investire all’estero “local for local”, cioè per servire i mercati del posto. Nella stessa ottica ci è sembrato giusto coinvolgere gli investitori indiani. Un’operazione che ci ha dato soddisfazione. Si pensi che il collocamento ha valorizzato la nostra controllata in modo paragonabile alla capitalizzazione dell’intero gruppo alla Borsa italiana nell’agosto 2021. Guardando all’esperienza che abbiamo avuto in Italia, il bilancio della nostra presenza a Piazza Affari è stato positivo: con il collocamento abbiamo finanziato il nostro ingresso in India e in Cina. Se meditiamo un nostro ritorno in Borsa? No e per due motivi principali. Primo perché a suo tempo il nostro titolo è stato a lungo penalizzato nonostante la crescita industriale del gruppo. Poi per un motivo generale: la Borsa ragiona su risultati di breve periodo e quindi condiziona le scelte, anche di bilancio, in modo da corrispondere a tali aspettative. Questo non va bene».

In effetti la logica che governa il gruppo è solidamente industriale e non certo finanziaria. Sul piano degli investimenti, ad esempio. Quei 40-50 milioni all’anno a sostegno della capacità produttivo trovano destinazione nel miglioramento tecnologico dei processi, ora con un approccio che ha superato lo stadio della digitalizzazione per bussare alle porte dell’intelligenza artificiale.

«Abbiamo in itinere una collaborazione con lo Smact, il centro di competenza del Nord Est per Industria 4.0 – spiega Carraro – Se parliamo di intelligenza artificiale nell’industria non dobbiamo pensare all’AI generativa, che ha destinazioni diverse. Parliamo di una capacità sensibilmente migliore di interpretare e gestire la grande mole di dati che vengono riversati ogni giorno da impianti, centri logistici, filiali del nostro gruppo. Finora non abbiamo potuto mettere a frutto se non limitatamente questa ricchezza, sono convinto però che attraverso l’intelligenza artificiale in futuro ci darà utili indicazioni in tanti campi operativi. Un po’ quel che è successo a suo tempo con la robotica, che ha cambiato il volto delle nostre fabbriche, agevolando il lavoro umano nelle mansioni più monotone e, alla fine, portando a un aumento della produttività».

Insomma Carraro Group continua la sua marcia nel deserto di una congiuntura che concede scarsa visibilità. L’ultima incognita è il neoprotezionismo degli Stati Uniti appena entrati nell’era Trump. Uno scenario che sta inducendo il gruppo padovano a mettere sul tavolo un possibile ritorno negli Usa: «Noi avevamo già un insediamento produttivo abbastanza grande in Georgia – racconta Carraro – lo chiudemmo intorno al 2003. Erano gli anni in cui gli stessi produttori statunitensi di trattori stavano lasciando il Paese. Adesso il quadro è cambiato, si parla di un ritorno della manifattura e soprattutto dell’introduzione dei dazi. Su questi presupposti potremmo riaprire negli Stati Uniti un insediamento produttivo, dapprima piccolo, per servire i nostri clienti locali. La domanda è dove troveremo la manodopera se la presidenza Trump adotterà un atteggiamento così ostile alla nuova emigrazione. Ma questa è un’altra e grande questione».

Riproduzione riservata © il Nord Est