Claudia Piaserico: «A volte occorre gettare il cuore oltre l’ostacolo per ritrovarsi»
È l’oreficeria il settore in cui Claudia Piaserico, che il papà voleva magistrato, ha costruito
la propria vita professionale. Non senza difficoltà. «Oggi fortunatamente molto è cambiato»

Laurea a Bologna, master a Milano, quindi ritorno a Vicenza, partendo dall’azienda di famiglia, per poi spiccare il volo. Non è stato semplice e Claudia Piaserico, cresciuta in una famiglia che faceva della distribuzione di gioielli il proprio lavoro, è riuscita a inventarsi un mestiere lontano dalle traiettorie che il padre aveva disegnato per il suo futuro. Adesso è presidente di Confindustria-Federorafi e product manager di Fope, storica azienda vicentina della gioielleria.
Quali sono i suoi studi?
«Diploma classico e laurea in Giurisprudenza. Ho iniziato la pratica forense, mio padre mi avrebbe voluto magistrato, ma la materia non mi appassionava e mi sono trasferita a Milano, iscrivendomi a un master in Gestione e risorse umane. Poi sono tornata a Vicenza. Avevo 28 anni, una laurea, un master, mi ero appena sposata e trovare un lavoro, come lo volevo io, era tutt’altro che facile».
Perché?
«Perché la prima cosa che mi veniva chiesta nei colloqui era: “Lei vuole una famiglia?”. Altri tempi. Mio padre aveva la sua azienda di famiglia, la Misis, dove non voleva né me né mio fratello. Importava gioielli e pensava che fosse un’attività fine a se stessa, quindi non voleva coinvolgerci».
Invece?
«Non trovavo lavoro e allora mio papà è stato costretto ad accogliermi. Mi ha messo al centralino, tanto per rendere chiaro il messaggio. Lì però ho conosciuto un bravissimo modellista, che era stato respinto perché l’azienda si occupava di distribuzione. Abbiamo gettato il cuore oltre l’ostacolo, gli ho chiesto di disegnare dei modelli per me che poi abbiamo realizzato. Quando mia madre ha visto il conto per poco non è svenuta... Poi però siamo andati in fiera a venderli ed è andata molto bene. Allora anche lei si è convinta. Così è nato tutto, sono rinata io».
Adesso lavora alla Fope…
«Con non poco dispiacere, nel 2017 ho lasciato l’azienda di famiglia e due anni dopo sono entrata alla Fope. Giulia Cazzola, la figlia dei titolari, purtroppo scomparsa, era una mia carissima amica. Quando sua mamma mi ha proposto di unirmi a loro, ho accettato subito, mi sembrava di tornare in famiglia».
Parlando delle difficoltà che ha avuto all’inizio, per il suo essere donna, ha detto che quelli erano altri tempi. Adesso, quindi, la situazione è cambiata?
«Decisamente. All’inizio è stato difficile, perché sistematicamente, a ogni colloquio, mi veniva chiesto che intenzioni avessi, in ambito familiare. Negli anni, sia in Confindustria che al lavoro, sono stata circondata da tanti uomini che, invece, mi hanno incoraggiato e, in un certo senso, protetto. C’è uno scambio molto fruttuoso, perché donne e uomini hanno attitudini differenti, ma queste peculiarità e diversità sono una ricchezza».
A cosa si riferisce?
«Alla tenacia, alla sensibilità, anche alla sana ambizione e alla voglia di realizzarsi. Per me, sentirmi realizzata è la base per stare bene anche con la mia famiglia. Mio marito mi dice sempre che la mia carriera è il suo orgoglio, e per me è bellissimo. Lui è avvocato e professore ordinario di Diritto tributario, quindi è un uomo molto impegnato, però è sempre al mio fianco. Ho fatto tanti sacrifici, perché sono una moglie e una mamma che viaggia molto, per questo il sostegno di mio marito e di mio figlio sono fondamentali».
Qual è la chiave per lavorare bene?
«Avere una bella squadra, dialogare con gli altri e saper condividere».
Concludiamo con il settore orafo: com’è andato il 2021?
«In maniera sorprendente. Tra gennaio e maggio, abbiamo messo a segno un +86% sull’export rispetto al 2020, e +2.8% sul 2019. Parlando di quantità di prodotto venduto, invece, registriamo un -11.8% sul 2019, significa che abbiamo venduto un prodotto più caro, anche in ragione dell’aumento dei prezzi delle materie prime. I prossimi mesi ci serviranno a definire il fenomeno: se si è trattato di “revenge shopping” o di ritorno di un interesse internazionale verso il made in Italy».
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