Dalla carpenteria al ricamo, Paola Cimolai scommette su Jesurum

Appartiene alla dinastia dei costruttori d’acciaio e in quel mondo ha esordito anche con esperienze all’estero. «Ho dovuto conquistarmi tutto mostrando le mie competenze». Poi la passione per l’antica azienda veneziana «che voglio far crescere»

Paola Cimolai
Paola Cimolai

PORDENONE. Le ossa se l’è fatte in un mondo di soli uomini Paola Cimolai, un cognome – il suo – che non solo in Friuli fa eco alle grandi opere di carpenteria metallica realizzate in mezzo mondo dall’azienda di famiglia. Una realtà che lei, giovanissima neolaureata in Economia, si è ritrovata a guidare. Per “diritto” e per passione.

Poi però ha cambiato strada. In cerca della sua via. Dopo una parentesi professionale all’estero è tornata in Italia ed è passata dalla carpenteria al ricamo. Da un mondo “muscolare” alla grazia delle mani femminili.

Quelle delle dipendenti di Jesurum, storica realtà artigiana con sede legale a Venezia, ma trapiantata a Brugnera, dove produce confezioni destinate a una clientela esclusiva e oltremodo esigente. Cimolai l’ha acquisita nella primavera del 2021.

Un bel salto per lei, cresciuta professionalmente nella grande impresa di famiglia...

«Un’impresa che ho amato follemente, ma che a un certo punto ho voluto lasciare, per fare i conti con un rimpianto...».

Quale?

«Non aver mai fatto un’esperienza all’estero. Così, a 30 anni, ho preso la valigia e sono andata a New York, a lavorare per il gruppo Permasteelisa (1,2 miliardi di fatturato e 5mila dipendenti)».

Com’è stato misurarsi con un ambiente così maschile?

«Spesso ero l’unica donna nelle riunioni, per i primi 10 minuti venivo presa alla leggera. Ho dovuto conquistarmi tutto, mostrando le mie competenze».

Nel 2021 ha quindi deciso di rimescolare le carte…

«Da tempo volevo una cosa mia e già nel 2019 avevo messo gli occhi su Jesurum, che era di mia zia e non aveva continuità aziendale».

Cos’è che l’ha sedotta di quest’impresa?

«La sua storia, il marchio rinomato, la bellezza dei suoi prodotti. L’azienda, per altro, pur piccola andava bene e aveva mantenuto uno zoccolo duro di clienti esteri, il monomarca a Venezia e una serie di punti vendita tra New York, Mosca e Beverly Hills oltre ai progetti sartoriali, esclusivi, che ancora oggi generano la maggior parte del fatturato. Così mi sono decisa ad acquistarla, anche grazie al supporto di mia sorella Carla e del mio compagno Filippo».

Jesurum, i preziosi ricami in un asciugamano
Jesurum, i preziosi ricami in un asciugamano

Com’è lavorare con un gruppo di (quasi) sole donne?

«In azienda siamo 15, comprese io e mia sorella Carla, che mi dà un prezioso aiuto operativo. C’è un bel clima di collaborazione, di forte empatia rispetto a un ambiente di lavoro maschile. E un’organizzazione più efficiente e veloce, perché la donna è abituata a essere mamma, lavoratrice, compagna. Insomma, multitasking».

Non per questo meno esigente e puntuale...

«Tutt’altro. Noi facciamo confezioni, acquistiamo le pezze di tessuto, rigorosamente italiane, e le lavoriamo, accompagnando ogni passaggio da attenti controlli di qualità. Dalla scelta dei tessuti al ricamo, merletto e stiro. Non ultimo, siamo molto flessibili».

Un esempio?

«In questi giorni ci ha chiamato da Londra la moglie del più importante gioielliere del mondo per ordinare una nostra tovaglia che le serve la prossima settimana. Siamo già al lavoro... ».

Che obiettivi ha per l’azienda?

«Farla crescere. Oggi Jesurum fattura 2 milioni di euro, punto al raddoppio nel giro dei prossimi 3 anni».

Tornando alle donne, è passata una decade dalla legge che impone quote rosa nei Cda, pensa sia servita?

«Penso che ci sono donne che hanno diritto a posti di vertice e dovrebbero averli. Ricordo una pubblicità vista a New York mentre ero in taxi. Diceva: “La donna per avere la stessa paga dell’uomo deve lavorare due volte. Fortunatamente non è difficile».

Figli compresi. Lei ne sa qualcosa. Come fa?

«Cerco di organizzarmi. E di lavorare a casa un giorno alla settimana, così da pranzare con mia figlia, da concedermi qualche decina di minuti con lei. Credo non serva tanto tempo, ma tempo di qualità. E che l’esempio sia importante».

Riproduzione riservata © il Nord Est