Dalla vetreria di Mestre a Wall Street: il gruppo Stevanato conquista i Big Pharma
Il Gruppo Stevanato, quotato a Wall Street, rafforza il suo ritmo di espansione. «Alla fine del ciclo di investimenti un incremento di 500 milioni di ricavi»

«Essere quotati a New York ci permette di parlare la stessa lingua delle Big Pharma». Franco Stevanato, presidente esecutivo dell’omonima multinazionale di Piombino Dese inizia a tirare una prima linea, da quando quella che fu una piccola officina di Mestre è diventata la seconda Ipo italiana per valore sulla prima piazza finanziaria al mondo: Wall Street.
Franco Stevanato, presidente esecutivo del gruppo. quest’anno celebrate 75 anni di attività. Ci racconta i vostri primi passi?
«Tutto è iniziato con una piccola officina vicino alla stazione di Mestre e, successivamente, a Zelarino. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, c'era una crescente richiesta di contenitori in vetro. Così, negli anni Sessanta e Settanta, ci siamo specializzati nella tecnologia del vetro, soprattutto per il settore farmaceutico, in un momento in cui le politiche italiane cominciavano a puntare molto sulla salute e sull'aumento dell’aspettativa di vita».
Quali sono stati i momenti chiave?
«Gli anni Sessanta e Settanta sono stati cruciali. All'epoca, in Italia c'erano circa duecento concorrenti nel nostro settore, ma con grandi sacrifici e investimenti in tecnologie e processi produttivi, siamo riusciti a emergere. Oggi, il Gruppo Stevanato è tra i primi al mondo nella produzione di flaconi, con un output complessivo di 13 miliardi di pezzi l’anno tra flaconi, siringhe e carpule. Inoltre, produciamo anche carpule per anestetici: un prodotto su due nel mondo è nostro».
E come vi siete evoluti?
«Siamo partiti dal prodotto storico, la fiala, per poi evolverci verso dispositivi avanzati. Siamo entrati nei mercati degli autoiniettori e dei dispositivi per il diabete, dove siamo tra i leader mondiali. Ad esempio, le nostre siringhe per il trattamento del diabete sono tra le più utilizzate al mondo. Stiamo facendo ricerca e sviluppando i nostri sistemi iniettabili con un focus sulle nuove molecole e i farmaci biologici. E stiamo lavorando su nuovi dispositivi indossabili per il rilascio graduale del farmaco».
Come è cambiata l'azienda?
«Alla fine degli anni Novanta e negli anni Duemila, il settore farmaceutico è diventato sempre più globale. Le prime 25 case farmaceutiche hanno iniziato a collaborare con noi. Tuttavia, non potevamo rimanere un semplice fornitore nazionale. Per questo abbiamo aperto stabilimenti in Cina, Messico, Slovacchia e America Latina. Nel 1998 avevamo un fatturato di 36 miliardi di lire; oggi siamo intorno al miliardo e cento milioni di euro».
In che modo avete gestito la crescita della domanda e l’espansione produttiva?
«Siamo passati dalla semplice produzione di flaconcini a dispositivi brevettati con autoiniettori. Negli ultimi anni, abbiamo aperto un tech center a Boston, perché le case farmaceutiche vogliono collaborare con noi sin dall'early stage delle nuove molecole. Oggi abbiamo 18 siti in 9 Paesi, e continuiamo a interagire con i partner a livello mondiale».
L’espansione del modello produttivo su base globale è stata una delle chiavi del vostro sviluppo recente.
«Abbiamo un piano ambizioso: entro il 2027 vogliamo mantenere una crescita a doppia cifra e aumentare il nostro Ebitda al 30%. Ciò significa espandere la capacità produttiva e migliorare i nostri margini lordi, puntando su quelli che chiamiamo prodotti ad alto valore aggiunto, che oggi hanno una marginalità tra il 40% al 70%. I nostri investimenti sono strategicamente mirati a questa espansione».
La quotazione a Wall Street è un punto di snodo.
«La quotazione nel 2021, in piena pandemia, è stata una scelta coraggiosa. Tra l’Ipo del 2021 e l’aumento di capitale di quest’anno abbiamo raccolto circa un miliardo di euro, e oltre il 70% è stato reinvestito in azienda. Ora siamo quotati a New York, dove va considerato che sono quotate anche la maggior parte delle big pharma nostre clienti. Questo ci consente di essere più vicini ai grandi investitori americani e di lavorare fianco a fianco con loro. Credo che in futuro saremo sempre più un titolo solamente americano, considerando che siamo al Nyse con un flottante del 16% e ci sono margini per mettere sul mercato altre percentuali del nostro capitale».
A che punto siete con l’investimento negli Usa?
«Abbiamo investito oltre 1,1 miliardi di euro nel periodo 2022-2024, oltre mezzo miliardo per il sito di Indianapolis e il resto destinato all’Italia per attività di ricerca e sviluppo. Il sito di Latina è stato sviluppato per supportare la produzione di soluzioni di contenimento farmaci e presterilizzate (il nostro marchio EZ-fill) e autoiniettori. Latina è partita con nove mesi di anticipo rispetto al sito di Indianapolis. Abbiamo avviato le prime vendite commerciali in Indiana nell’agosto di quest’anno. Nello stabilimento sono già in funzione linee di formatura ad alta velocità e per la produzione di siringhe EZ-fill. Da qui al 2028, prevediamo di completare il ciclo d’investimento, che dovrebbe tradursi in un incremento di fatturato di circa mezzo miliardo di euro, focalizzato su prodotti alto di gamma. Grazie a questi investimenti, siamo nel pieno della fase di esecuzione di importanti progetti. Puntiamo a consolidare la nostra posizione nei mercati ad alto valore aggiunto e a essere il partner di riferimento per le aziende che sviluppano le molecole del futuro».
Qual è il ruolo di ricerca e sviluppo nella vostra crescita?
«Destiniamo circa il 4% del fatturato a ricerca pura. Per noi è fondamentale continuare a investire in nuove tecnologie, come i dispositivi indossabili per il trattamento del dolore o per la somministrazione di medicinali. Le malattie croniche sono in aumento e il nostro obiettivo è migliorare la qualità della vita delle persone».
In che modo affrontate la sfida dell’attrazione e della retention dei talenti?
«Abbiamo creato un’accademia interna per formare e trattenere i migliori talenti, e stiamo investendo molto nella nostra capacità attrattiva. In paesi come la Slovacchia e gli Stati Uniti, dove la competizione è alta, cerchiamo di essere un’azienda attrattiva e dinamica. Collaboriamo anche con le università locali e ci proponiamo come un partner di lungo periodo per i giovani ingegneri e ricercatori. In Italia, ad esempio, attraiamo talenti dalle università di Padova, Venezia e Bologna».
Dove sarà Stevanato tra cinque anni?
«Stiamo pianificando il prossimo ciclo di espansione per il 2030, con l’obiettivo di rafforzare la nostra presenza nei mercati chiave e consolidare la nostra leadership. Entro il 2027, puntiamo a una crescita del fatturato a doppia cifra, con un focus sulle soluzioni ad alto valore e sui dispositivi di somministrazione per farmaci biologici. Vogliamo essere il partner di riferimento per le case farmaceutiche che sviluppano le terapie del futuro».
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