Dazi americani del 200% sul vino Ue, la minaccia di Trump spaventa i vignaioli a Nord Est
Ora un calice di Pinot grigio che costa 16 dollari in enoteca potrebbe arrivare a 50: «Una guerra commerciale spaventosa che non si sa dove porterebbe»

Stavolta l’umore è proprio nero. «Ci facevano già paura i dazi al 25%, figurarsi al 200%. Il comparto del vino del Nord Est e il regno del Prosecco subirebbero danni incalcolabi», dice sconsolato Stefano Trinco, presidente del Consorzio Doc Friuli, enologo e imprenditore alla Vigneti Pittaro di Codroipo, nella Grave, terra di pianura, ricca e generosa. «Con tariffe del genere si andrebbe fuori mercato, è una deriva senza ritorno. Mi auguro che sia una boutade di Trump per poi arrivare a una mediazione. Se davvero dazi così pesanti fossero introdotti, sarebbe una cosa spaventosa, una guerra commerciale che non si sa dove porterebbe».
Il tam tam corre veloce tra le Doc del Veneto e quelle del Friuli e un brivido corre lungo la schiena di chi ogni giorno lavora tra vigne e cantine. «Mi ha chiamato in mattinata il mio importatore americano e mi ha fatto ascoltare in diretta la Cnn che annunciava i dazi del 200% sul vino italiano - racconta Martin Figelj, vignaiolo del Collio e presidente di Coldiretti del Friuli Venezia Giulia - . Se passa una cosa del genere saremmo nei guai, il vino resterebbe esclusiva delle élite, non lo comprerebbe più la classe media. E soprattutto noi produttori perderemmo il valore aggiunto dato dalla vendita al calice. A New York un bicchiere di Pinot grigio in enoteca costa oggi 16 dollari, con una tassa doganale del 200% lo stesso calice arriverebbe a 50 dollari, una cifra improponibile. Per non parlare della bottiglia di Barolo o di Brunello al ristorante, che costerebbe più di mille dollari. Stiamo vivendo un clima molto pesante che influenza anche il consumo interno, e siamo a ridosso del Vinitaly. C’è tanta preoccupazione, spero che le cose cambino, l’incertezza e la tensione continua non aiutano».
Previsioni fosche da parte del Consorzio del Prosecco Doc, un gigante da 750 milioni di bottiglie l’anno, molte delle quali prendono la via dell’Atlantico per sbarcare negli Usa. «Gli Stati Uniti rappresentano il nostro primo mercato, con oltre il 23% della destinazione commerciale - commenta il presidente del Consorzio di tutela Giancarlo Guidolin - . Al momento è difficile prevedere l’impatto per la nostra denominazione. Se le misure venissero applicate, specie nelle proporzioni diffuse ieri, le ripercussioni sarebbero sicuramente deleterie per molte delle nostre aziende, il cui export verso gli Usa in alcuni casi supera l’80%. Tuttavia, la Denominazione è supportata da un mercato di esportazione diversificato, con Regno Unito, Germania e Francia tra le principali destinazioni. In ogni caso, la storia ci insegna che le guerre commerciali non portano mai a risultati positivi: auspichiamo ancora un dialogo costruttivo tra Stati Uniti ed Europa per ridurre al minimo i potenziali danni».
Secondo le stime dell’Unione italiana vini (Uiv), un’eventuale imposizione di dazi al 25% potrebbe tradursi in una perdita annua di circa 472 milioni di euro per l’intero comparto del vino italiano negli Stati Uniti. Con i dazi al 200% sarebbe un bagno di sangue. Gli Usa rappresentano un mercato strategico anche per il Conegliano Valdobbiadene Prosecco, che nel 2023 si è attestato come il quinto Paese importatore di spumante Docg, con un valore di 17,3 milioni di euro e circa 3 milioni di bottiglie vendute, registrando una crescita del +1,5% rispetto al 2022. «Le ultime dichiarazioni del presidente Usa sono allarmanti - afferma il presidente del Consorzio Conegliano Valdobbiadene Franco Adami - ma è decisamente troppo presto per fare qualsiasi previsione affidabile. Mi auguro, nonostante tutto, che ci siano ancora i margini per scongiurare misure che penalizzerebbero più o meno pesantemente il nostro settore. A rendere più problematica l’eventuale imposizione di dazi c’è anche l’indebolimento, lento ma costante, del dollaro sull’euro, che comporta un ulteriore aumento del prezzo per il consumatore degli States».
«Inutile rimarcare che, con tariffe di queste proporzioni, i nostri produttori di vino perderebbero il partner commerciale numero uno al mondo – sottolinea Christian Marchesini, presidente dei viticoltori di Confagricoltura Veneto -. Sia per il Prosecco che per Valpolicella e Amarone gli Stati Uniti sono il primo mercato di esportazione fuori dall’Unione europea e il rischio è di compromettere la filiera nazionale che vale quasi due miliardi di euro».
«Speriamo che questa di Trump sia solo una provocazione, una tassazione al 200% sui vini azzererebbe di fatto le vendite verso gli Stati Uniti - dice Cristiano Fini, presidente di Cia Agricoltori italiani - . Il rischio di dazi all’Europa lascerebbe strada libera ai competitor che potranno aggredire una quota di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno». «L’escalation tariffaria avrebbe effetti dirompenti su entrambe le sponde dell’Atlantico - si legge in una nota di Federvini - . I danni sarebbero ingenti e probabilmente irreparabili, coinvolgendo filiere produttive, decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori. Le istituzioni italiane, europee e americane lavorino per un compromesso».
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