Dazi, il patron dell’Harry’s bar Cipriani: «Trump è un istintivo. Ci sono margini, l’Europa negozi»
Cipriani, re del food con sette ristoranti a New York, è cauto sulle conseguenze. «Bisogna vedere se le tasse già esistenti sui cibi verranno assorbite nel 20%»

I dazi non spaventano il re della ristorazione d’eccellenza made in Italy. Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar di Venezia, a capo di 12 ristoranti negli Stati Uniti e di 3 mila dipendenti solo a New York, guarda al nuovo scenario commerciale mondiale disegnato da Donald Trump con cauto distacco e zero allarmismo.
Chi meglio di lei Cipriani, che rappresenta la cucina italiana in America e nel mondo, può darci un’idea di cosa questi dazi significheranno.
«Questa è la nuova politica di Trump e lui è uno che decide per conto suo. In fondo è stato eletto, è il presidente e fa quello che vuole. Certo, può essere criticato da tutti perché i costi dei prodotti europei e di quelli del resto del mondo saliranno molto in America. E per noi, credo, la filiera più interessante da tenere d’occhio sarà quella del food».
Il cibo italiano diventerà un bene di lusso?
«Bisogna vedere».
Da cosa dipende?
«Alcuni prodotti avevano già delle tasse d’entrata e bisogna vedere se esse verranno aggiunte al 20% o se invece ne verranno assorbite. Non credo che sia ancora stato deciso. Per intenderci: se prima si pagava il 15% e ora si paga il 20%, allora c’è solo un 5% di differenza. Quindi non griderei al “chissà cosa succederà” perché non ho ancora materiale sufficiente per dirlo. Anche noi esportiamo prodotti che vengono usati nei nostri ristoranti come l’olio, la pasta all’uovo e non all’uovo. Ecco, non sappiamo ancora niente, per il momento ci sono solo annunci alla stampa».
Però Trump ha fatto un discorso ufficiale alla Casa Bianca.
«Sì, ma se si va a vedere in passato si trovano anche cose che poi non ha fatto. I suoi sembrano editti, poi bisognerà vedere se verranno tutti messi in pratica. Io ho i miei dubbi perché c’è stata una reazione dell’Europa piuttosto violenta. Non credo che Trump sia un kamikaze, anche perché quello che otterrà dai dazi come vantaggio in termini di maggiori incassi finanziari, verrà meno come minori incassi in termini quantitativi».
Secondo lei quindi esistono ancora dei margini?
«Secondo me sì. Ripeto, in passato ha detto cose che poi non ha fatto o che ha fatto a metà. È un uomo molto istintivo che evidentemente ascolta poco i suoi collaboratori. Probabilmente ora ascolta più Musk degli altri, ma si vedono tentennamenti anche da quella parte».
Cosa può fare ora l’Europa? Linea dura o negoziato?
«La linea dura non ottiene nulla, peggiora solo la situazione. L’unico adesso è il negoziato. In fondo anche l’America esporta in Europa».
E ha fiducia nell’Europa?
«Non troppa. L’Europa ha perso moltissimo tempo in questi anni perché ha tenuto in piedi una federazione di Stati che non può funzionare finché ci sarà il diritto veto di piccolissime nazioni contro altre che invece producono veramente. Il diritto di veto è stata una fesseria come lo è stata il non tenere conto che l’Europa è fatta da mille culture diverse. Hanno cercato di unificarla con la moneta, che era probabilmente l’ultima cosa su cui intervenire. E poi c’è quello che è stato fatto ora sulla sostenibilità, obbligando alle auto elettriche... chissà se con il riarmo von der Leyen farà i carri armati elettrici».
Ma se Trump decidesse di andare avanti comunque, quali sarebbero le conseguenze per il comparto del food italiano?
«Certamente il rincaro negli Usa. E però gli Stati Uniti devono stare attenti perché l’inflazione parte quasi sempre dai generi di prima necessità».
Teme per i suoi ristoranti?
«Noi abbiamo 3 mila dipendenti a New York che fanno cucina italiana, 7 ristoranti a New York e in America 12 o 13 tra Miami, Las Vegas, Los Angeles. I nostri sono ristoranti dove si guarda più alla qualità che ai prezzi».
E per gli altri ristoratori? Che ne sarà della tipica trattoria all’italiana?
«Attenzione: la trattoria lì non ha le stesse caratteristiche di quelle italiane dove i prezzi sono molto inferiori. In America sono completamente diverse. Certo, se ci sarà un aumento di prezzi ne soffrirebbero».
Non sembra provare troppa preoccupazione per l’effetto dazi sul food.
«Non la sento, nel senso che so che non succederà nulla. La cosa di cui ho paura sono le guerre».
Gli americani hanno maltrattato gli europei dandoci degli scrocconi e dei parassiti. Poi però vengono in Italia; Bezos verrà a sposarsi a Venezia e spenderà qui i suoi soldi.
«Una cosa sono gli editti politici che, ribadisco, in qualche modo si metteranno a posto. Altra cosa è la popolazione, si muove a prescindere. Bezos è un commerciante ed è positivo che arrivi a Venezia. Ma comunque c’era già stato».
Sì però stavolta in pompa magna.
«Eh certo, si sposa».
Non è che si sposi da lei?
«No, no, noi non c’entriamo».
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