Dopo i dazi Ue sulle auto elettriche, Pechino prova a riallacciare i rapporti

Per il ceo di Porsche Consulting China, Jiawei Zhao, la Cina è aperta agli affari e agli investimenti europei

Giorgia Pacino

 

Tra annunci e smentite, sospensive e rilanci – che hanno tenuto in fibrillazione i mercati globali per tutta la settimana – la scure trumpiana dei dazi si è alla fine abbattuta solo su una metà del mondo: dal 9 aprile sono entrate in vigore le nuove tariffe del 145% sulle merci che provengono dalla Cina, oltre a quelle del 25% che colpiscono Messico e Canada. L’accanimento sul gigante cinese e la minaccia ancora pendente sull’Unione europea potrebbero però aver prodotto anche un risultato imprevisto: quello di avvicinare i destinatari delle misure.

Ora che il mercato Usa è a rischio, l’Europa e l’Italia potrebbero infatti tornare a guardare a Oriente: alla Cina, in primis, ma anche all’India e ai Paesi del Middle East. Pur se accomunate dal peso globale dei propri mercati e dall’essere finite nel mirino dei dazi trumpiani, nei rapporti tra le due aree del mondo i nodi da sciogliere restano tanti. A cominciare dallo squilibrio commerciale: lo scorso anno l’export italiano verso il Medio Oriente ha rappresentato il 4% dell’export totale, quello verso la Cina il 3,1% e quello verso l’India appena lo 0,8%.

Numeri molto diversi nella direzione opposta: sul totale delle importazioni italiane, la Cina vale l’8,2%, il Medio Oriente il 5% e l’India l’1,6%. Guardando solo alla Cina, le merci italiane dirette a Pechino hanno raggiunto un valore di 15,3 miliardi di euro, in calo del 20% rispetto al 2023, mentre l’Italia ha importato merci cinesi per 49,5 miliardi. Nel solo mese di dicembre 2024 il nostro saldo commerciale nei confronti del gigante asiatico è stato negativo per 2,2 miliardi.

Lo spazio da recuperare, insomma, è tanto, ma i tentativi di riaprire un dialogo Ue-Cina si fanno avanti da entrambe le parti. Bank of China ha organizzato un lungo tour, che ha fatto tappa anche a Milano, per promuovere le opportunità di investimento nella nuova “free trade zone” di Lingang, a sud est di Shanghai, e le diplomazie di Bruxelles e Pechino hanno convenuto di riprendere il negoziato sui dazi imposti a fine 2024 dall’Ue sui veicoli elettrici prodotti in Cina. Tariffe che finora non sembra abbiano causato una riduzione degli investimenti europei nel Paese della Grande muraglia.

«Il totale degli investimenti diretti estero (Ide, ndr) in Cina ha raggiunto circa 22 miliardi di euro nei primi due mesi del 2025, con un meno 20,4% su base annua, ma ciò riflette molteplici fattori: venti contrari all’economia interna cinese, crescente incertezza geopolitica, riallineamento della catena di approvvigionamento. In questo contesto, i dazi sui veicoli elettrici sono probabilmente un piccolo tassello di un puzzle molto più ampio», spiega il ceo di Porsche Consulting China, Jiawei Zhao.

Jiawei Zhao, ceo di Porsche Consulting China
Jiawei Zhao, ceo di Porsche Consulting China

I flussi di investimenti dell’Ue verso la Cina hanno raggiunto i 10,1 miliardi di euro nel 2024, segnando una ripresa del 21,9% rispetto al 2023, anno in cui si è registrato il livello più basso dal 2010. Il settore automobilistico è rimasto la principale destinazione dei capitali europei, seguito dai materiali di base e dai prodotti chimici. Stanno guadagnando terreno anche gli investimenti nel settore dell’Healthcare e delle biotecnologie, a seguito di una maggiore apertura cinese ai capitali stranieri. «Le politiche commerciali di Trump possono cambiare nel giro di un giorno. La velocità di reazione dell’Ue, invece, dipende dal consenso dei 27 Stati membri», ricorda Zhao. «Nell’economia geopolitica di oggi, l'incertezza è talvolta un ostacolo agli investimenti più grande delle tariffe stesse».

Nonostante le avances di Bank of China e le ampie praterie offerte agli investitori nelle province del Lianoning, Sichuan e Hubei, penetrare il mercato cinese non è semplice. Storicamente la Cina ha imposto alle imprese straniere di collaborare con aziende locali, arrivando anche a fissare un tetto massimo di proprietà del 50% alle case automobilistiche europee. La restrizione è stata revocata per i veicoli elettrici nel 2018 e per le automobili tradizionali solo nel 2022.

«Alcuni mercati continuano a essere molto restrittivi nei confronti delle aziende europee, ad esempio il cloud computing, i media e il tabacco. Non vediamo un potenziale significativo per le aziende europee di penetrare in questi mercati», ammette il consulente.

Eppure, in Cina c’è ancora tanta domanda di made in Ue e dunque anche di made in Italy: a parte i beni di lusso – moda, pelletteria, gioielli e orologi, un mercato che vale circa 40 miliardi di euro -, macchinari avanzati, veicoli e prodotti farmaceutici continuano a dominare le esportazioni europee verso la Cina, con oltre 300 miliardi di euro e più del 60% del volume totale nel 2024.

«I prodotti europei mantengono un forte appeal tra i consumatori cinesi, soprattutto se si distinguono per qualità, funzionalità o valore culturale», conferma Zhao. «I beni di consumo funzionali, in particolare gli elettrodomestici, i prodotti per la cura della persona e gli alimenti speciali, sono sempre più apprezzati dalla crescente classe media cinese». Anche il cliente tipo di beni europei è cambiato: oggi i consumatori cinesi d’élite sono istruiti, esposti a livello globale, nativi digitali e sempre più orientati ai valori. Tra i cittadini cinesi con un patrimonio netto superiore al milione di euro, circa l’85% è laureato e quasi la metà ha meno di 40 anni.

Per conquistare questa clientela, così come i giovanissimi GenZ, secondo il consulente le aziende europee dovrebbero puntare su «un approccio localizzato, basato sulla narrazione e sulla fluidità digitale. La fluency culturale non è negoziabile: le edizioni del Capodanno cinese, l’accuratezza delle mappe e il “tone of voice” sono tutti elementi importanti. Un piccolo passo falso può trasformarsi rapidamente in una crisi reputazionale», avverte l’esperto. È quello che è successo nel 2018 a Dolce&Gabbana, rei di aver registrato uno spot in cui una modella provava a mangiare con le bacchette una fetta di pizza e un cannolo siciliano.

Tanto più che oggi a ridurre gli spazi per le aziende europee contribuisce anche la concorrenza dei marchi locali: nel 2022, il Gruppo Anta ha superato Nike e Adidas come primo brand di abbigliamento sportivo in Cina e l’anno scorso Maogeping è entrato nella top 10 del segmento cosmetico premium cinese superando Givenchy e Giorgio Armani. È il movimento Guochao, il nuovo stile cinese. «Il dominio dei marchi europei, un tempo indiscusso, viene ora ridefinito, ma non ancora sostituito. I brand cinesi oggi offrono un’espressione moderna d’identità che quelli europei spesso non hanno. La vera sfida per il lusso europeo non è ancora la sostituzione, ma la co-creazione di rilevanza culturale».

C’è poi tutto il capitolo della transizione ecologica su cui il modello europeo potrebbe trainare nuovi investimenti anche in Cina. In settori come le batterie per veicoli elettrici, la collaborazione sta già prendendo forma: nel 2027 entrerà in vigore il regolamento europeo sulle batterie, che impone la riciclabilità e il monitoraggio della carbon footprint dell’intero ciclo di vita delle batterie e il più grande produttore al mondo, il cinese Catl, sta già operando in Germania, Ungheria e presto anche in Spagna attraverso una joint venture con Stellantis.

«Questo riflette un modello più ampio: l’Europa stabilisce le regole, la Cina le realizza su scala», fa notare il consulente. Che in prospettiva vede possibili cambiamenti normativi e strategici, «tra cui un’ulteriore liberalizzazione settoriale e una maggiore protezione degli investimenti» sulla scorta del Piano d’azione 2025 per il sostegno agli investimenti esteri pubblicato a febbraio dal governo cinese.

Il documento elimina le restrizioni nel settore manifatturiero e amplia l’accesso a nuovi settori, introducendo anche incentivi finanziari, dal sostegno al reinvestimento degli utili al miglioramento dell’accesso ai finanziamenti nazionali. «Le imprese europee possono prevedere sia la continuità delle politiche che nuove opportunità», assciura Zhao. «Dopo le turbolenze degli anni del Covid, la Cina sta inviando un messaggio chiaro: è aperta agli affari e sempre più accogliente nei confronti degli investimenti europei».

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