Dramma sfiorato al Giro: ciclista cade di testa, lo salva il casco made in Treviso

Protagonista lo sloveno Matej Mohoric che ringrazia l’azienda che lo ha prodotto, la Rudy Project. Test di omologazione severissimi

Fabio Poloni

TREVISO. Il pauroso incidente in discesa, la terrificante e anomala caduta del ciclista in perfetta verticale, con la testa contro l’asfalto. Attimi di terrore al Giro d’Italia: a salvare il giovane sloveno Matej Mohoric è stata la resistenza del casco. Il miglior spot possibile sulla sicurezza dei propri prodotti per l’azienda che lo ha realizzato, la trevigiana Rudy Project.

È successo durante la tappa di domenica della corsa in rosa. Nella discesa da passo Godi, dopo 50 km, per un suo errore, il ciclista sloveno è stato brutalmente sbalzato dalla bici, con impatto sull'asfalto quasi in verticale sulla testa e poi sulla schiena. La bicicletta si è spezzata in due. Il brivido di terrore è durato meno della caduta: lo sloveno si è rialzato subito, ha preso la bici di riserva e voleva ripartire immediatamente. Come nulla fosse.

Lo hanno portato in ospedale per accertamenti, e deve ringraziare (anzi, lo ha fatto proprio) il casco che gli ha salvato la vita. «Sto bene. La mia bici Merida e il casco Rudy Project hanno assorbito la maggior parte dell'impatto, e sono stato super fortunato. Non ho ossa rotte, ho un piccolo trauma cranico, abrasioni multiple e al momento non mi fa male la testa. Sono monitorato dal nostro staff medico», il suo messaggio raccolto dalla Gazzetta dello Sport.

In serata il ritorno nell'hotel della sua squadra, sotto controllo medico. Mohoric, racconta ancora la Gazzetta, è un formidabile discesista, ha inventato lui la famosa posizione tutta avanzata per migliorare l'aerodinamica in discesa che l'Uci ha vietato. «Una discesa molto tecnica, andavamo tra 60 e 70 all'ora, con un asfalto sconnesso. Matej ha fatto un errore, purtroppo si corre sempre al limite», ha raccontato chi lo seguiva. Mohoric arriva lungo a una curva stretta a sinistra, frena, la bici si mette di traverso ma la ruota entra nella canaletta a fianco della strada. La bicicletta si impunta e lo disarciona, scaraventandolo in aria. Il casco gli ha salvato la vita: è un prodotto uguale a quello che si trova in commercio, 179 euro il costo: si chiama Spectrum ed è realizzato dalla trevigiana Rudy Project.

Misura M, pesa 240 grammi. C'è una parte esterna, lo scudo, composto da tre calotte di policarbonato. Ma il cuore, decisivo per la sicurezza, è la parte interna: un'anima di polistirene espanso sinterizzato (Eps), costituita per il 98% di aria, con struttura cellulare. Quest' anima viene saldata a caldo con lo scudo, ha spiegato l'azienda, per fare un pezzo unico: la sua funzione è di assorbire l'impatto, disperdere l'energia e non trasmetterla al corpo.

I test di omologazione sono estremi. Il più significativo è simile al crash-test delle auto: il casco, su una speciale slitta, viene scagliato a diverse velocità contro un ostacolo in acciaio. Molto importanti anche i test anti-scalzamento.

Il casco salvavita in questa infografica (fonte Gazzetta dello Sport)
Il casco salvavita in questa infografica (fonte Gazzetta dello Sport)

Quello della Rudy Project è uno dei nomi di punta della filiera veneta della bicicletta. L’azienda ha sede a Treviso ed è specializzata nella costruzione di caschi, non soltanto per ciclisti – su strada e su pista – ma anche per il pattinaggio. Nata nel 1985, Rudy Project ha oggi una sessantina di dipendenti e fattura circa 15 milioni di euro, il 90% sui mercati esteri in più di 70 paesi. Produce e distribuisce, oltre ai caschi, anche occhiali per lo sport. Alla guida ci sono Cristiano (presidente) e Simone Barbazza (direttore marketing).

«Il lavoro che c’è dietro un casco del genere è molto – racconta Norberto Fava, project manager dell’azienda trevigiana – Lo sviluppo di un casco dura almeno due anni, dalle prime idee grafiche ai primi prototipi fatti a mano per poi passare ai primi pezzi stampati e a tutta la trafila dei test. In azienda siamo noi stessi i primi utilizzatori e tester dei nostri prodotti, e una stretta cerchia di noi (sviluppatori, io in primis quale responsabile dei caschi, designer e proprietà) li prova già fin dai primi prototipi, non ancora finalizzati, per capire già se il prodotto va bene, se è comodo, se ha problemi di qualche tipo eccetera al fine di finalizzare al meglio quanto sarà in produzione per i consumatori».

Incidenti come quelli del giovane ciclista sloveno non sono rari, anzi. «Tutti noi abbiamo personalmente e letteralmente “testato” i nostri prodotti mediante rovinose cadute e, per fortuna, tutti abbiamo potuto verificare ed apprezzare la bontà degli stessi – racconta Fava – Io sono anche guida di mountain bike e mi diletto ad accompagnare i turisti nella zona del prosecco mediante tour in e-bike. L’anno scorso, durante un’uscita in notturna, girandomi all’indietro per poter fotografare il gruppo sono rovinosamente caduto tra le viti battendo la testa contro un pozzetto di cemento. Casco rotto, gran risata ed è finita in festa per fortuna. Ciò dimostra come distrazioni di un attimo possano costare molto care. Basta una caduta nella vita per cambiartela. Anche a me il casco l’ha salvata».

«Raccogliamo sempre tutti i caschi degli atleti che sfortunatamente cadono per approfondire ulteriormente le conseguenze degli impatti sulla struttura del casco – racconta Alvise Rizzi, responsabile comunicazione di Rudy Project – Matej Mohoric ci ha ringraziato personalmente, ci siamo sentiti al telefono dopo la caduta. Lo sviluppo di un casco è lungo anche perché deve coniugare le esigenze di sicurezza con quelle di aerodinamica, leggerezza comfort e ventilazione».

 

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