Ebhardt racconta Leonardo Del Vecchio: «Non voleva farlo, dice che la sua storia è quella dell’azienda»

L’intervista all’autore della biografia (autorizzata) al patron di Luxottica e genio dell’occhialeria mondiale: «Il suo segreto è quello di una persona che ha il coraggio di rischiare, di fare il passo oltre, che non si accontenta mai. Ma questa è un po’ anche la sua condanna»

Roberta Paolini

Una carta azzurrina, l’orfanotrofio, le montagne, un grande mare blu, il metaverso. Sono alcuni dei simboli di Leonardo Del Vecchio, la biografia firmata da Tommaso Ebhardt a capo dell’ufficio di Milano di Bloomberg, e dedicata al genio dell’occhialeria mondiale. 

Ebhardt come è stato raccontare uno degli uomini più reticenti a parlare di sé e anche una epopea umana e imprenditoriale a tratti molto commuovente?

«È stata una lunga, impegnativa e affascinante avventura. Perché lui è un uomo che non voleva farsi raccontare. È la sua natura: è un uomo schivo, timido che non ama la luce della ribalta. Dopo aver scritto la biografia di Sergio Marchionne, quello che per me è stato uno dei manager più rivoluzionari che l’Italia ha avuto dopo Enrico Mattei, volevo raccontare la storia di un imprenditore. Cercavo una storia che mi coinvolgesse. Leonardo Del Vecchio mi ha ricordato la mia infanzia. Io sono un trevigiano trapiantato a Milano e parlando con lui ho sentito il linguaggio che sentivo da bambino. Lui parla come un imprenditore degli anni Sessanta e Settanta, non usa inglesismi: lui non dice sales, ma rappresentati; non parla di manager, ma di dirigenti; quando parla del suo gruppo, 180 mila dipendenti nel mondo, lui dice la mia fabbrica. L’estrema semplicità di un uomo che dal niente ha costruito un impero mi ha colpito».

Nel suo libro scopriamo che si è girato in lungo e in largo le montagne bellunesi alla ricerca dell’origine di quel miracolo economico che è stato il distretto dell’occhialeria italiana, che riguarda Luxottica, ma non solo Luxottica.

«Frequento da sempre le montagne venete e conoscevo poco la storia dell’industria degli occhiali. Se fossimo nella Silicon Valley ci sarebbe un parco a tema sugli occhiali a Pieve di Cadore e invece nel luogo in cui questa industria incredibile è nata non figura neppure una insegna. Sono andato a vedere il museo degli occhiali a Pieve quello di Luxottica ad Agordo. La mia biografia parte dunque senza il protagonista, che arriva dopo. Perché io per capire quello che ha fatto Del Vecchio sono partito da Rizios dove un disruptor nel 1878 di nome Angelo Frescura inventa in Italia l’industria degli occhiali, da cui parte il distretto cadorino che poi avrà una costola agordina nella Luxottica di Leonardo Del Vecchio».

Lei ha rivelato anche aspetti inediti della vita di Del Vecchio a cominciare dalla lettera che sua madre scrisse all’orfanotrofio milanese dei Martinitt per chiedere di accogliere il suo figliolo.

«Ho scoperto che c’era un archivio del museo Martinitt in cui venivano custodite le memorie di ogni alunno. E consultando quei documenti ho trovato un tesoro, c’erano tutti i documenti sulla nascita e sull’infanzia di Del Vecchio. Documenti veramente commuoventi, quando ho trovato la lettera scritta da sua madre, su una carta azzurrina, una lettera disperata ma piena di dignità: una donna vedova, sola che scrive all’orfanotrofio dicendo “prendete mio figlio perché rischia di morire per strada”, a quel punto ho pensato davvero questa storia è troppo bella e deve essere raccontata».

Del Vecchio non voleva un libro che parlasse di lui e lei, lo scrive a più riprese, le ripete “non racconti me, racconti Luxottica è quella la mia storia”. E quindi parliamo di Luxottica, del mare blu come la chiamano i dipendenti.

«Il segreto di Luxottica è il segreto di una persona che ha il coraggio di rischiare, di fare il passo oltre, che non si accontenta mai e questa è un po’ anche la sua condanna. Tutte le volte che l’ho incontrato, ormai a 87 anni, ti parla di futuro, di cosa farà l’azienda in futuro, non riesce mai a fermarsi a mettere un punto. E forse questo è anche il motivo per cui non era interessato a un libro che raccontasse la sua storia. Inizialmente la sua ascesa era legata a un bisogno fisico, non patire più i morsi della fame. In collegio, durante gli anni del fascismo, ha vissuto come in un collegio militare, quindi inizialmente è la volontà di non essere più l’ultimo degli ultimi a spingerlo. E poi si tratta della volontà di ottenere di più, quando si rende conto di essere bravo, che, come artigiano, è migliore degli altri. E poi da lì c’è la grande intuizione di passare da terzista a produttore. Ed è questo che lui ha, una intuizione incredibile e la capacità di vedere le cose prima degli altri».

Nel suo libro si parla anche già di futuro: quello che sta avvenendo a Sedico con la verticalizzazione dell’industria dell’occhiale che si realizza in un unico luogo e poi l’accordo con Meta-Facebook per gli smart glasses.

«Da Sedico sono spediti gli occhiali Ray Ban in tutto il mondo. In un luogo che è nel bel mezzo del nulla c’è uno dei quattro centri logistici del gruppo, ed è lì che nel 2016 Luxottica decide di realizzare l’occhiale finito in casa, comprando i macchinari da Essilor. Ed è stato anche un modo per far capire ai francesi che facevano sul serio anche con le lenti. Poi da quando le due aziende si sono fuse con tutta la tecnologia che hanno oggi in quell’impianto pilota realizzano gli occhiali dalla prescrizione dell’ottico al prodotto finito, tutto nell’arco di una linea di 30 metri. La fusione con Essilor ha permesso inoltre di garantire al gruppo un futuro da leader. E poi si è voluto guardare oltre, perché fino ad ora gli occhiali non sono mai cambiati. Ora con la tecnologia potrebbero diventare i nuovi iPhone. L’accordo tra Luxottica e Meta a differenza di altri accordi precedenti vede l’occhiale incorporare la tecnologia e non il contrario. Questi occhiali che un domani ti faranno entrare nel Metaverso o nella realtà aumentata li comprerai sempre dall’ottico, nel settore di Luxottica. Ed è questa, ancora una volta, la genialità». —

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