Edi Orioli e il sodalizio con Lino Dainese: «Ha creduto in me, con la sua tuta sono andato alla mia prima Parigi Dakar»

OSOPPO. E’ un mito che abbraccia le generazioni e supera la prova del tempo quello di Edi Orioli, l’eroe friulano della Parigi Dakar, la corsa nel deserto che lui, oggi affermato imprenditore, ha vinto 4 volte - nel 1988, nel 1990, nel 1994 e nel 1996 - grazie a una miscela esplosiva di passione, grinta, determinazione e caparbietà.
«Perché se volete inseguire una passione dovete anzitutto essere determinati» ha detto ieri incontrando i 25 ragazzi del primo campus “Pittini Challenge”, la due giorni di full immersion in azienda culminata con la “lezione” di Orioli che agli studenti - una parte dei 45 che hanno raccolto la sfida lanciata dal gruppo Pittini a trovare una soluzione pratica a un determinato aspetto aziendale - ha raccontato con dovizia di particolari la sua avventura sulle due ruote pungolandoli a credere nei propri sogni e a provarci.

Come lui, che a 22 anni si è presentato alla porta di Lino Dainese, il patron dell’omonima azienda vicentina produttrice di tute da moto, chiedendogliene una. «Sapete com’è andata? Dainese, un vero signore, mi ha detto sì. Mi ha dato la tuta e mi ha pure fatto firmare un contratto da 20 milioni di lire, che allora erano soldi» ha raccontato Orioli.
La passione per le moto? «L’ho sempre avuta, certo a 15 anni non pensavo di correre e vincere la Parigi Dakar. Ho iniziato a crederci strada facendo, mano a mano che mi immergevo in quel mondo. Le prime edizioni sono state dure. Al di là del deserto la corsa era piena di insidie. Venti giorni d’inferno: si dormiva poco, in tenda, si mangiava male. Oggi non è più così, si dorme in camper, si usa il gps, si telefona con il cellulare. Mica come ai tempi miei che potevo chiamare casa una sola volta, dal telefono della posta dell’unico albergo di Agadez, in mezzo al Niger: davi il numero, ti passavano il centralino, poi prendevi la linea, ma c’era l’eco, a casa non lo sapevano e così ci si parlava sopra. Riuscivo, salutando, a dire con chiarezza una cosa sola: “O stoi ben”. Sto bene. Poi fino a Dakar non mi sentivano più, prendevano la Gazzetta dello sport sperando di vedermi lì. Mi manca quel romanticismo».

La determinazione è stato il leitmotiv dell’intervento di Orioli che ai ragazzi ha ricordato anche gli infortuni subiti, almeno un paio di quelli da metterti ko. «Il ginocchio non stava più nel pantalone, la spalla era malridotta. Potevo mollare e invece il giorno dopo ho dato un’ora e mezza a tutti e quella Dakar l’ho vinta».
Oggi Orioli guida la Pratic di Fagagna insieme al fratello Dino. «Ma quegli anni me li porto dietro. Ho imparato a essere imprenditore di me stesso. Ad avere iniziativa. Fatelo anche voi. Non aspettate che vi spingano» ha detto alla platea.

Un’audience folta di ragazzi e dei vertici del gruppo siderurgico friulano, dal presidente Federico Pittini all’amministratore delegato Paolo Felice, dalla presidente di Officina Pittini per la Formazione, Micaela Di Giusto, alla vicepresidente della Fondazione gruppo Pittini, Simona Ferri Pittini, che ha salutato i ragazzi spronandoli un’ultima volta: «Abbiate il coraggio di provare. Definite un obiettivo, un progetto e cercate di raggiungerlo. Buon futuro».
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