Effetto dazi Usa: fino a 54 milioni di bottiglie di vino da ricollocare in Ue

Il report Enpaia Censis diffuso al Vinitaly conferma i timori. I vignaioli del Nord Est: con tanta offerta prezzi in ribasso

Maurizio Cescon

Il timore serpeggiava già tra i vignaioli, negli stand del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Tanto che una giovane imprenditrice si domandava: ma se per colpa dei dazi non riusciremo più a vendere vino italiano come prima negli Stati Uniti, che fine faranno quelle bottiglie? Torneranno da noi e allora, con un surplus di offerta, potrebbero scendere, non di poco, i prezzi.

Ebbene a stretto giro di posta è arrivata la conferma alle paure manifestate sottovoce: 54 milioni di bottiglie da ricollocare nei mercati del Vecchio continente, preferibilmente tra Germania e Regno Unito.

I numeri li snocciola il primo Rapporto Enpaia-Censis del 2025, diffuso in occasione del Vinitay, riguardo l’impatto sul settore vitivinicolo dei dazi americani del 20% sui prodotti provenienti dall’Italia.

Tuttavia, rileva il dossier, la differenza nei prezzi tra Stati Uniti e i Paesi che dovrebbero rimpiazzare quel mercato, rende difficile compensare pienamente le perdite. Per recuperare il valore economico, gli operatori italiani dovrebbero riuscire a vendere 92 milioni di bottiglie, un’impresa che richiederà un notevole sforzo per garantire la sostenibilità del settore vitivinicolo e tutelare la sua posizione nei mercati globali.

Le esportazioni italiane negli Stati Uniti potrebbero mantenere una certa stabilità in termini di valore, ma una parte consistente degli introiti finirà nelle casse dello Stato Usa. In particolare, circa il 20% del valore dell’export, pari a 1,9 miliardi di euro, sarà assorbito dai dazi; il che comporterà una significativa perdita economica per gli operatori italiani che si troveranno a fronteggiare un’incertezza crescente.

Incertezze che, secondo l’analisi, unitamente alla logica conflittuale che permea il commercio internazionale, richiederà un’azione tempestiva da parte degli operatori e delle istituzioni italiane per evitare danni a lungo termine e per ripensare le strategie di esportazione.

Nelle cantine italiane, dalla Valpolicella al Collio, è emersa un’altra preoccupazione. Ovvero evitare che la tariffa imposta da Trump diventi una sorta di “moltiplicatore” che, passando attraverso produttore, importatore, distributore e ristorante ed enoteca, faccia raddoppiare o quasi il prezzo della bottiglia o del calice per il consumatore finale.

«Le contrattazioni tra gli attori della filiera - racconta un importante produttore di Amarone - non dovrebbero subire modifiche rispetto a oggi. Il dazio dovrebbe essere caricato una sola volta, non a ogni passaggio del vino da una mano all’altra».

Le tariffe Usa stanno comunque facendo cambiare strategia commerciale alle imprese vitivinicole.

Secondo un sondaggio di Intesa SanPaolo presentato a Verona da Massimiliano Cattozzi, responsabile della direzione Agribusiness Intesa SanPaolo che rientra nella banca dei Territori guidata da Stefano Barrese, tra le reazioni che le imprese stanno valutando in merito all’inasprimento dei dazi, circa la metà di chi ha risposto, indica la ricerca di nuovi clienti in altri mercati, e un terzo indica la possibilità di aprire filiali commerciali o produttive negli Usa.

Si rileva anche un certo attendismo nel posticipare le tempistiche degli investimenti; mentre un 20% circa indica l’eventualità di rivedere i listini per il mercato statunitense. Lo studio ha messo in evidenza che l’export agroalimentare italiano ha registrato un’ottima evoluzione anche nel 2024: +8,3% a prezzi correnti rispetto al 2023, per un controvalore di 67,5 miliardi di euro.

Gli Stati Uniti sono un mercato rilevante per l’alimentare italiano: il peso degli Usa sul totale dell’export dell’alimentare e bevande è del 13,4%, superiore alla media del manifatturiero (10,4%).

Per alcuni comparti il peso sale ben oltre il 20%, fino al 25% circa per l’olio e per il vino. Bene anche le esportazioni di vino nel 2024: oltre 8 miliardi di vendite sui mercati esteri (+5,5% rispetto al 2023), trainate dai risultati oltreoceano (Stati Uniti +10,2%, Canada +15,2%) a cui si aggiungono il contributo del mercato tedesco (+3,7%) e di quello britannico (+1%).

Riproduzione riservata © il Nord Est