Eni clona in Corea del Sud la bioraffineria di Marghera

L’esperienza della bioraffineria di Porto Marghera replicata nel mondo. Eni, attraverso la controllata EniLive, ha firmato con la società LgChem un accordo di joint venture per la realizzazione di una nuova bioraffineria a Daesan, a Sud Ovest di Seul, in Corea del Sud, che utilizzerà la stessa tecnologia Ecofining di quella veneziana, operativa dal 2014, e poi replicata al petrolchimico di Gela.
L’obiettivo, in Corea del Sud, è di completare l’impianto entro il 2026 e trattare circa 400 mila tonnellate all’anno di materie prime, prodotti come il biojet per gli aerei, il biodiesel e la bionafta.
Le firme sull’accordo, siglato a Roma, sono quelle dell’ad di Eni, Claudio Descalzi, e dell’ad di LG Chem, Shin Hak-cheol. L’esperienza che oggi permette a Eni di firmare accordi per la realizzazione di nuove bioraffinerie – in Corea del Sud come in Malesia – e di essere al secondo posto in Europa e al terzo nel mondo per la produzione di biocarburanti è nata e cresciuta a Porto Marghera. Dopo la crisi del 2008 la raffineria veneziana rischiava di chiudere, così come è avvenuto ad esempio per la Tamoil con sede a Cremona.
L’impianto perdeva fino a 100 milioni di euro l’anno. Tubi e condotte della vecchia raffineria, che dal 1926 importava petrolio greggio per trasformarlo in benzina, rischiavano di diventare uno scheletro di archeologia industriale, l’immagine del Novecento industriale che aveva fallito la sfida della riconversione.
Eni, per la prima volta al mondo, provò – riuscendoci – a convertire la raffineria in bioraffineria, attraverso la tecnologia Ecofining sviluppata in collaborazione con Honeywell Uop, producendo carburanti derivati non più dalla lavorazione di prodotti petroliferi, ma dalla trasformazione di residui di scarti alimentari, di olio di frittura e di olio di palma, il cui impiego è stato poi sospeso nel 2022.
A monte del processo produttivo quindi ci sono gli scarti; a valle i biocarburanti biogenici: diesel, gpl e nafta, tutti preceduti dal prefisso Hvo (olio vegetale idrogenato).
Nel futuro della sede di Porto Marghera, che impiega circa 300 lavoratori, c’è anche la produzione di biojet, carburante sostenibile per l’aviazione, dal 2025, per un ulteriore investimento di circa 200 milioni di euro e un aumento della capacità produttiva che, nei programmi di Eni, dovrebbe passare da 360 mila a 560 mila tonnellate all’anno.
Un esempio riuscito di riconversione che, dal 2019, è stato replicato a Gela dove sono stati trasformati alcuni impianti del petrolchimico siciliano. Oggi Eni in Italia produce biocarburante a Marghera e a Gela, presto lo farà a Livorno.
Nel resto del mondo a Chalmette, in Louisiana, e presto in Asia. Il piano strategico 2024-2027 della società, che verrà presentato a marzo, potrebbe svelare ulteriori partnership di un piano di espansione che deve fare i conti anche con le indicazioni di Bruxelles – in primavera si voterà per il rinnovamento del Parlamento europeo – in materia di carburanti verdi.
Oggi il biocarburante è indicato come uno dei vettori di transizione e le previsioni delineano uno scenario in cui sarà sempre più utilizzato.
«La produzione di biocarburanti è uno dei pilastri della nostra strategia per contribuire a raggiungere la piena neutralità carbonica al 2050», ha detto Descalzi in occasione della firma dell’intesa per la Corea del Sud, «anche attraverso la vendita di prodotti progressivamente decarbonizzati. Il progetto di una bioraffineria a cui stiamo lavorando insieme a LG Chem è un progetto chiave per ampliare a livello internazionale la presenza di Enilive nel settore della bioraffinazione, per aumentare la sua capacità dagli attuali 1,65 milioni di tonnellate l’anno a oltre 5 milioni di tonnellate l’anno al 2030».
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