Ex Feraboli incorporata da Maschio Gaspardo: «E adesso siamo pronti a crescere ancora»

I fratelli Maschio, azionisti di controllo e a capo del gruppo di Campodarsego, mettono così un altro punto fermo sul piano di ottimizzazione societaria e operativa del gruppo, firmato dall'ad Luigi De Puppi. Nel 2020 fatturato in calo del 5%, "Un risultato straordinario con il Covid, grazie ai nostri dipendenti ed alle Rsu"
Da sinistra in basso Mirco Maschio, presidente del gruppo, alle suo spalle il fratello Andrea Maschio, a destra l'ad Luigi De Puppi
Da sinistra in basso Mirco Maschio, presidente del gruppo, alle suo spalle il fratello Andrea Maschio, a destra l'ad Luigi De Puppi

PADOVA. Maschio Gaspardo e Maschio Fienagione, la ex Feraboli di Cremona, si fondono. I fratelli Maschio, azionisti di controllo e a capo del gruppo di Campodarsego, mettono così un altro punto fermo sul piano di ottimizzazione societaria e operativa del gruppo, firmato dall'ad Luigi De Puppi. Un ulteriore tassello nella storia del rilancio, pienamente riuscito, e la consistenza piena al disegno che era stato del padre Egidio Maschio: una piattaforma completa per le macchine dedicate all'agricoltura, con il colore distintivo di questa grande azienda nata dal nulla: il rosso.

Spiega Mirco Maschio, presidente del gruppo: «La fusione si inserisce nel Piano Industriale 2019-2022, condotto dall'amministratore delegato De Puppi, nell'ambito di un programma volto all'ulteriore aumento dell'efficienza operativa del Gruppo a livello internazionale».

Maschio Gaspardo, dice ancora, «punta ora alla crescita e al rafforzamento del business anche attraverso il consolidamento della presenza del Gruppo nei mercati ad alta potenzialità come Cina, Giappone, Sud-Est Asiatico e Nord America, che si svilupperà sia per via interna sia grazie a partnership strategiche».

Presidente, cosa cambia per la ex Feraboli dopo la fusione, ci sarà un impatto occupazionale?

«No, nessun impatto per i 117 collaboratori dell'azienda. Però è un'integrazione importante per lo sviluppo futuro, che consente anche un rapporto più diretto con i dipendenti. Un ulteriore driver di sviluppo strategico è il potenziamento della piattaforma dei prodotti dedicati alla fienagione, con le rotopresse a geometria e camera variabile come fiore all'occhiello, con investimenti orientati all'aumento della profondità di gamma e agli sviluppi nell'ambito dell'elettronica e della connettività delle attrezzature progettate e prodotte a Cremona».

La fusione permette anche un rafforzamento del patrimonio.

«Sì chiaramente fondendo l'azienda... anche se noi già la consolidavamo nel bilancio di gruppo. Ma soprattutto questo è un passaggio in quel processo che io e mio fratello Andrea, vicepresidente del gruppo, insieme all'ad De Puppi avevamo iniziato qualche anno fa. Con l'acquisizione e poi la fusione della Unigreen, attiva nella produzione delle macchine per il trattamento delle colture e poi con la Società Maschio Aratri. Ora con questa ulteriore operazione per le macchine per la fienagione c'è stato il completamento della gamma. È per noi il raggiungimento di un obiettivo che era il centro della strategia di mio padre Egidio: poter offrire all'agricoltore la gamma completa delle attrezzature».

Che 2020 è stato?

«Un anno difficile, come per tutti, anche se noi abbiamo iniziato da subito con le norme di sicurezza per i dipendenti, come avevamo già fatto in Cina quando qui l'emergenza non c'era. Il 2019 era già stato un anno difficile, avevamo subito gli eventi mondiali di Brexit, i dazi degli Stati Uniti sui prodotti cinesi, la situazione in Russia, la crisi del mercato turco dove la nostra azienda è presente con filiali commerciali oltre a diversi problemi climatici. Quindi ci aspettavano un 2020 in grande recupero e invece purtroppo il Covid ha compromesso questo risultato. Oltre chiaramente al tema della salute delle persone, un dramma che non cito solo perché è evidente che quella è la prima cosa».

Avete subito perdite?

«In realtà la pandemia ha dimostrato quanto sia fondamentale il settore dell'agricoltura. Noi siamo riusciti, grazie alla presenza internazionale in loco della nostra rete commerciale, a subire molto meno degli altri. Chiuderemo con un fatturato in calo del 5% (nel 2019 avevamo chiuso a 316,6 milioni di fatturato) e confermando tutti i nostri obiettivi del piano».

E quindi in realtà è un risultato straordinario.

«Sì lo è. Siamo orgogliosi di questo risultato, dei nostri dipendenti, e del contributo delle sigle sindacali e in particolare delle Rsu. È grazie alle organizzazioni sindacali, alla loro collaborazione, se abbiamo potuto continuare a lavorare. Dobbiamo ringraziare loro che ci hanno permesso di mantenere le nostre quote di mercato. Perché se avessimo dato un vantaggio ai competitor, in un momento come questo, sarebbe stato difficile riconquistare il terreno perso».

Che futuro vedete?

«Nel terzo trimestre alcune indagini hanno mostrato segnali di ripresa. Per noi il mercato che ha subito più danni è l'Italia. Per il resto guardiamo ad Asia, Australia, Africa e America Latina, che sono mercati molto importanti per il nostro settore, e lo facciamo con logiche distributive specifiche, lavorando per rendere più significativa la nostra presenza lì».

Anche con acquisizioni?

«Non le stiamo escludendo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © il Nord Est