Fonderie, sempre più elettroforni: «C’è carenza di materie prime»

Alberto Valduga, presidente di Assofond Acciaio: «Siamo all’avanguardia nella sostenibilità ambientale»
Federico Piazza

«Le fonderie italiane sono all’avanguardia in Italia e nel mondo sulla sostenibilità ambientale, con normative e controlli rigidissimi. Lo possiamo dimostrare, ma il nostro settore deve imparare a comunicarlo».

Il settore

Lo afferma con decisione Alberto Valduga, presidente di Assofond Acciai e responsabile acquisti del Gruppo Cividale, che in Friuli e Veneto conta cinque stabilimenti in ambito forge e fonderie di acciaio, ghisa e alluminio.

«In Italia abbiamo per esempio i limiti più bassi in Europa per le emissioni nell’aria degli impianti industriali e regole molto stringenti sulla gestione dei rifiuti e sullo stoccaggio di materiali».

Nel frattempo però, e ancora di più nell’attuale fase di mercati molto rallentati in cui le fonderie hanno assolutamente bisogno di difendere la marginalità, economicamente la sfida si gioca sui costi energetici, perennemente più alti in Italia rispetto ai principali paesi concorrenti, e delle materie prime.

E in prospettiva, proprio sulle commodity industriali serve sviluppare filiere europee tecnologicamente innovative, come sottolineato nella recente assemblea nazionale di Assofond a Soave.

I paesi fornitori

«Due sono i materiali utilizzati nei processi fusori su cui oggi ci sono le maggiori criticità: la ghisa in pani e i rottami», sottolinea Valduga.

«Nel primo caso il principale Paese fornitore per l’Italia è di gran lunga la Russia, da dove per effetto delle nuove sanzioni Ue contro Mosca le importazioni dovranno dimezzarsi nel 2025 e azzerarsi nel 2026.

Le alternative affidabili di approvvigionamento nel mondo però non sono molte. Si concentrano in Sudafrica e Brasile, ma sicuramente costano di più.

Nel 2026 inizieranno inoltre gli effetti economici del Cbam, il Carbon Border Adjustment Mechanism sulle emissioni carboniche incorporate sui materiali base in acciaio, ghisa e alluminio importati da paesi extra Ue. Sono tutte misure che complicano molto l'attività per i produttori europei e che si trasformeranno in un aggravio di costi e quindi in svantaggi in termini competitivi».

La strada della decarbonizzazione

I rottami ferrosi, poi, sono sempre più utilizzati nei forni elettrici delle acciaierie e delle fonderie che si stanno diffondendo sulla strada degli obiettivi di decarbonizzazione dell’industria energivora italiana ed europea.

Elettrosiderurgia

«Anche noi abbiamo investito su due forni elettrici per la ghisa, azzerando di fatto i consumi di carbon coke», conferma Valduga. In particolare l’Italia è leader in Europa per l’elettrosiderurgia, che copre oltre l’80% della produzione nazionale di acciaio.

Ed è diventato così un importatore netto di rottami, i cui pur rilevanti volumi nazionali di raccolta e riciclo non soddisfano la domanda di acciaierie e fonderie. Si pongono quindi problemi di disponibilità e prezzi del materiale. Lo stesso trend vale per i rottami di alluminio.

«Di fatto – osserva Valduga – le quantità che possono essere raccolte in Europa non possono aumentare più di tanto, occorrerà quindi limitarne le esportazioni verso destinazioni extra Ue. Probabilmente ciò avverrà quando la Germania, che sappiamo essere molto influente in Europa, si trasformerà da paese esportatore di rottami ferrosi, quale ancora è, a paese importatore per effetto della progressiva chiusura di impianti siderurgici a ciclo continuo a favore invece dello sviluppo di produzioni con forno elettrico».

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