Frigo: "Continuare nel solco di Vescovi, fusioni? Più dialogo con Confindustria Verona sperando non si allei con Brescia"
Si scalda la corsa per Confindustria Vicenza. La commissione dei saggi ha iniziato il giro delle consultazioni. L’obiettivo è arrivare con i nomi da portare per la volata finale entro primavera. Il compito è reso singolare dall’inconsueta schiera dei pretendenti al vertice: sono quattro al posto dei soliti due. A confrontarsi per la successione al presidente uscente, Luciano Vescovi: Laura Dalla Vecchia, Mauro Frigo, Alberto Luca e Remo Pedon.
Abbiamo parlato con Mauro Frigo, 50 anni, amministratore delegato della Veca che produce articoli in plastica per arredo e giardinaggio ad Albettone. Un'azienda che nel 2020 ha fatturato 25 milioni, impegnando, fra dipendenti e interinali, 120 lavoratori. Separato, padre di una figlia di 21 anni, Mauro Frigo è consigliere di Confindustria Vicenza, Raggruppamento Est.
- Cosa ha spinto Mauro Frigo a candidarsi?
"La necessità di proseguire il lavoro svolto da Luciano Vescovi. L'ho capito soprattutto durante quest'ultimo anno di pandemia e lockdown, quando ho visto il nostro presidente muoversi di persona, e metterci la faccia, presenziando a eventi di ogni genere, anche online, per relazionarsi con gli associati. Grazie a questo suo comportamento, in un anno così terribile Confindustria Vicenza ha guadagnato nuovi soci. E' una mission presidenziale che deve trovare continuità, e io mi sento in grado di garantirla, pronto a incontrare personalmente più aziende al mese, se sarà il caso".
- Deve presentare l'economia del Vicentino a uno straniero che non ne sa nulla. Che parole usa?
"Descrivo un territorio reso fra i più ricchi d'Italia da due caratteristiche: la presenza di qualsiasi settore industriale, spesso a livelli di eccellenza, e una capacità di adeguamento alle situazioni tipica di aziende medio-piccole come sono in maggioranza le nostre".
- Che però avranno anche dei problemi. Quali sono i principali?
"Molte tendono a chiudersi dentro le loro piccole dimensioni, nell'illusione che possa durare così in eterno. Tanto è vero che, di fronte a segnali di recessione, scelgono di indebitarsi pur di non aprirsi all'interno del loro mercato".
- Parla di fusioni o incorporazioni?
"Comunque di relazioni, che per un'azienda piccola o grande del XXI secolo devono essere sempre più fitte e finalizzate, anche inventando nuovi servizi di consulenza all'interno di Confindustria Vicenza, se è il caso. Io, quando esco dalla fabbrica, ho imparato a ottimizzare tutte le mie conoscenze professionali. Tanto per fare un esempio, ultimamente ho conosciuto chi, con la sua azienda, poteva risolvere il problema segnalatomi da un imprenditore. Non ho fatto altro che metterli in contatto, con benefici per entrambi. Al giorno d'oggi bisogna fare squadra".
- E se non la si fa?
"Si perdono occasioni preziose. Penso a quando, una decina di anni fa, il gruppo alimentare Despar voleva aprire un importante centro logistico da centomila metri quadri nel Basso Vicentino. Dovette rinunciare a causa delle baruffe scoppiate fra i comuni che si dividevano il territorio individuato per il cantiere. Risultato finale: Despar ha aperto in Emilia, e qui abbiamo perso tutti i posti di lavoro che un'operazione del genere avrebbe comportato".
- Ora che esiste una sola Confindustria di riferimento per le provincie di Padova e Treviso, ma anche di Venezia e Rovigo, crede che quella di Vicenza sia destinata a seguire l'esempio di queste fusioni?
"Anche qui la parola d'ordine è relazioni. Rendiamole ancora più continuative e proficue con i colleghi di Verona, e poi vediamo quali scenari ci si profilano. Di sicuro non farebbe piacere svegliarsi un giorno e scoprire che si stanno alleando con Brescia".
- Guardando alla ripresa post-Covid, cosa sarebbe bene arrivasse per una provincia come la nostra dal Recovery Plan con cui il governo utilizzerà finanziamenti europei sulla carta così imponenti?
"Troppi danno per scontato che i soldi arrivino, mentre io sono personalmente contrario a finanziamenti a pioggia. Preferisco vederli concentrati nelle pubbliche amministrazioni, a patto che li utilizzino presto e bene per coinvolgere i privati nell'avviare cantieri, realizzare progetti, migliorare i servizi del Paese. Certo, per evitare i ritardi nei pagamenti a cui siamo tristemente abituati, saranno indispensabili garanzie sui tempi di pagamento".
- Cosa si aspetta dal governo Draghi?
"Difficile dirlo. Mario Draghi è il miglior presidente possibile, ma il suo governo è molto connotato politicamente, non ci sono solo tecnici a comporlo. Per cui bisogna vedere come se la caverà con le segreterie dei partiti".
- Quali soluzioni per un mercato del lavoro che si accinge a subire le conseguenze della pandemia e del lockdown?
"I licenziamenti arriveranno, e ce ne saranno anche nel nostro territorio. Penso che si debba fare qualcosa per riqualificare settori rimasti fermi, come il turismo. Che riprenderà in chiave locale e regionale, per cui bisogna ingegnarsi per essere competitivi all'interno di un mercato inizialmente ristretto. Magari rammentando che per alcuni dei nostri ragazzi Palladio è il nome di un centro commerciale, e non di un grande architetto del Rinascimento, come ho avuto modo di ascoltare personalmente".
- Ma, con la ripresa dei viaggi, pensa che la nostra meglio gioventù tornerà a cercare lavoro all'estero?
"Lo farà di sicuro, e non sarà necessariamente un male, perché vivere all'estero apre gli occhi su tante cose. Ad esempio, chi va a lavorare a Lugano, vede la sua busta paga pesare di più di quella che percepirebbe in Italia, ma vede anche tanti passare la frontiera ogni week end per fare la spesa in Italia, dove tutto costa meno".
- La rinuncia più grande durante la pandemia?
"Per me è stato un periodo di opportunità, e non di rinunce. Per esempio ho trovato modo di iscrivermi alla Protezione Civile"
- Esiste un libro che le ha fatto da guida, nella sua vita?
"Memorie di una ragazza perbene, di Simone de Beauvoir. Ero giovane e, leggendolo, apprezzai la sua capacità di aprirmi gli occhi su tante convenzioni e contraddizioni della società in cui vivevo".
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