Frumat lancia Appleskin: il tessuto in similpelle ottenuto dagli scarti delle mele

BOLZANO. Si chiama AppleSkin, letteralmente ‘PelleMela’, il tessuto di similpelle brevettato dalla Frumat, azienda di Bolzano che da anni sperimenta le potenzialità della mela – elemento cardine dell’agricoltura locale – e creato attraverso il recupero degli scarti della lavorazione industriale del frutto come la parte legnosa o le bucce.
Quest’ultimi diventano protagonisti di un processo che li polverizza e lavora fino a ricavarne un tessuto che si presenta al pubblico come una perfetta alternativa alla pelle animale, oltre ad essere un esempio d’eccellenza nel campo dell’economia circolare: utilizzare tutto ciò che è utilizzabile da un prodotto fino a ridargli nuova vita, aiutando così l’industria locale. Il tessuto è andato sul mercato già nel 2015 ed è stato inizialmente applicato al settore della legatoria. Venivano infatti prodotte agendine con gli esterni in AppleSkin.
Parallelamente però iniziavano a prendere piede i primi studi per capire se gli scarti dell’industria agroalimentare erano applicabili alla produzione di nuovi beni di consumo all’insegna dell’ecosostenibilità, come vestiti e arredi. “Il nostro è un processo di trasformazione completamente meccanico e con basso impatto ambientale. Riutilizziamo tutto lo scarto, chiudendo il ciclo della mela”, puntualizza Hannes Parth, amministratore delegato di Frumat e inventore della tecnologia. Oggi Frumat ne genera circa 30 tonnellate al mese e detiene il brevetto di produzione, oltre ad occuparsi quotidianamente della ricerca e sviluppo del prodotto.
Un business che si regge sulla valorizzazione delle risorse locali evitando gli sprechi. Una strategia green a ridotto impatto ambientale, una scommessa supportata dai numeri. Secondo il sesto rapporto “La Bioeconomia in Europa”, redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo,
oggi, in Italia, la bioeconomia fornisce occupazione a oltre due milioni di persone generando un output pari a circa 345 miliardi di euro. Un settore stimato in crescita di oltre 7 miliardi rispetto al 2017 (+2,2%), grazie in particolare al contributo della filiera agro-alimentare, in cui giocano un ruolo essenziale le startup. E non è un caso che il progetto Frumat arrivi proprio dall’Alto Adige, terra da sempre attenta a queste tematiche e che lavora assiduamente a progetti di cooperazione come AlpBioEco (supportato da NOI Techpark, il polo tecnologico altoatesino) e presenta al pubblico nazionale startup quali Lokolana, creata dagli studenti della Libera Università di Bolzano per recuperare gli scarti della lana. La tecnologia Frumat ha ottenuto inoltre numerosi riconoscimenti, tra i quali il Technology & Innovation Award ai Green Carpet Fashion Award del 2018.
A contatto con il territorio: la collaborazione con OneMore
Nel tempo Frumat è cresciuta di pari passo con l’espansione internazionale di AppleSkin. Tra i mercati che abbracciano il prodotto ci sono infatti il Giappone, California, Svizzera, Francia e Germania. Sono diverse le startup e case di moda che hanno deciso di affidarsi alla tecnologia made in Alto Adige per realizzare prodotti e rispondere alle esigenze dei consumatori, sensibilizzandoli.
Nonostante ciò, Frumat ha sempre mantenuto uno stretto rapporto con il territorio d’origine, continuando ad acquistare le materie prime da produttori di zona o comunque poco distanti dalla propria sede. In questo modo Frumat valorizza le risorse e il tessuto economico locali, contribuendo all’abbattimento degli sprechi minimizzando l’impatto ambientale della produzione.
Tra le case history delle aziende che si sono affidate alla tecnologia Appleskin c’è quella di OneMore, marchio skiwear da sempre attento alla sostenibilità dei materiali utilizzati e con sede a Egna, che ha deciso di applicarlo per sperimentare le sue potenzialità nel campo dell’abbigliamento sportivo, in particolare quello da sci anti inquinamento.
Il tessuto è stato introdotto nel 2019, nel secondo anno di attività dell’azienda, al posto di piume e pellicce, e viene utilizzato in primis per la realizzazione dei capi tecnici del marchio, ottenendo richieste da tutto il mondo grazie all’e-commerce, fenomeno amplificato ulteriormente nell’ultimo anno a causa del Covid.
Proprio per contrastare l’effetto di regressione della pandemia, OneMore ha deciso di affidarsi al proprio pubblico, lanciando una campagna di equity crowdfunding. Come spiegato dalla founder Helga Lazzarino, l’obiettivo è quello di aprire l’azienda anche ad altri soci e investitori che condividono la stessa ottica, e di raccogliere circa 350.000 euro che verranno dirottati in azioni di crescita del marchio e aumento dell’esperienza digitale, oltre che per l’ampliamento della collezione.
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