Gelindo Bordin: «L’impresa è una maratona. Tempo e concentrazione per costruire il successo»
Il campione olimpico Gelindo Bordin direttore sport marketing Diadora
«Qui ho vissuto anni belli, quelli più difficili e quelli bellissimi di oggi»

Gelindo Bordin, ex maratoneta di assoluto valore e campione olimpico a Seul nel 1988. Ci racconta com'è nata la proposta di entrare in Diadora e di diventarne uomo-immagine e figura di riferimento per lo sport?
«Nel 1976 (aveva 17 anni, ndr), dopo aver vinto i campionati italiani di maratonina allievi a Brescia, mi chiamarono facendomi una proposta di sponsorizzazione. Successivamente ebbi esperienze con altre aziende, e quando smisi di gareggiare mi arrivò una nuova telefonata da Montebelluna perché volevano cominciare a fare un lavoro serio sulla categoria running. Entrai di fatto nel 1994 in azienda, restandovi per quattro anni. Quando compresi che la famiglia Danieli voleva vendere, cambiai ancora. Infine, nel 2003 rientrai alla Diadora con la nuova proprietà e non mi sono più mosso. Ho vissuto gli anni belli, quelli più difficili e quelli bellissimi, gli attuali. Il mio ruolo è cambiato in questo lungo arco temporale, prima come responsabile merchandising di tutta l'area sport e direttore anche dello sport marketing, poi Category leader, vale a dire colui che coordina tutte le funzioni aziendali all'interno delle categorie sport, dal running al tennis, al calcio. Adesso ho lasciato la parte merchandising e sono direttore dello sport marketing, quindi investimenti, atleti, squadre ed eventi, e sono rimasto Category leader».
Martedì 16 aprile, nell'ambito delle iniziative collegate a Top 100 (le 100 imprese leader del Nord Est), alle 17.30 nella sede Benetton Group di Castrette di Villorba dialogherà con il vicedirettore del Gruppo Nem Giancarlo Padovan sul tema “capitale umano”. Di cosa parlerà?
«Illustrerò i vantaggi, o gli svantaggi, legati alla presenza di un ex atleta nelle aziende, quali sono gli elementi di forza o quelli eventuali di rischio nel fargli gestire una funzione di business. Mi riferisco più al singolo, che poi si deve integrare in una squadra, rispetto alla gestione di un gruppo, e a quali possono essere i punti di forza di chi ha fatto sport, che ha avuto lezioni di vita che poi ritrova tutti i giorni».
Se le diciamo “make it bright”, cosa ci risponde?
«È stato uno slogan del passato di Diadora, anzi più che uno slogan era un'idea traducibile in “fallo, ma fallo in maniera intelligente”, per cercare di differenziarsi dai vari competitor presenti sul mercato».
È ancora attuale?
«Lo slogan non lo utilizziamo più. Chiaramente, come concetto rimane attuale perché creare una mente brillante aiuta tutti i giorni. Ma è uno slogan a cui abbiamo fatto ricorso più ad uso interno all'azienda che esterno».
Perché a questi livelli è importante sensibilizzare chi pratica, o ha praticato sport, nell'affrontare al meglio un'esperienza aziendale?
«Parliamo di giovani sportivi. Bisogna insegnare loro che ad un certo punto della vita, quando la carriera finisce, se segui un percorso come quello intrapreso dal sottoscritto devi tornare “bambino”, con umiltà, per imparare delle nozioni fondamentali. Ti devi mettere alla pari degli altri, perché, se poni i meriti sportivi raggiunti davanti a tutto, rischi il fallimento. Non c'è nulla che arriva per grazia ricevuta. Oggi, lavorando con gli atleti giovani nelle sponsorizzazioni, noto che c'è molta più attenzione nella formazione personale: i ragazzi puntano a laurearsi, in modo da crearsi un domani importante, anche se mi preme evidenziare come lo sport viva in una sorta di bolla di vetro, molto chiusa. Quando se ne esce, bisogna stare attenti perché il mondo di fuori è un bel po' diverso».
Chi sono i veri maratoneti nella quotidianità?
«Tutte quelle persone che hanno capito che i grandi successi dipendono solo da se stessi. Non sono certamente piccoli, medi o grandi imprenditori che hanno avuto risultati immediati, ma tutti coloro che hanno costruito i propri traguardi nel tempo, con progetti basati su fondamenta significative. Il maratoneta ha la pazienza di lavorare ad intensità non elevatissima ma costante, rimanendo concentrato».
A 65 anni appena compiuti, voltandosi indietro, quel ragazzo figlio della campagna veneta (è nato a Longare, nel Vicentino, ndr), ritiene quella di Seul ai Giochi olimpici la sua impresa più bella?
«Sicuramente. È la gara delle gare, anche se sono diventato per tutti il più forte al mondo nel 1990, quando trionfai alla Maratona di Boston. In America, purtroppo, se non vinci una loro maratona non sei il più grande».
Una curiosità, per concludere: è vero che su un'aeromobile della flotta di aerei di ITA Airways campeggia il suo nome?
«Sì, e ne sono orgoglioso».
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