Gli effetti della guerra sulle materie prime, Gavino (Fis): “La farmaceutica in affanno per ammoniaca e palladio, ora il mercato è dimezzato”

L’analisi dell’amministratore delegato della vicentina Fis

gruppo con sede a Montecchio Maggiore che produce principi attivi

«Per l’industria farmaceutica che noi serviamo non è nemmeno pensabile l’idea di rimanere senza alcuni principi attivi, ne va della stabilità di interi sistemi sanitari nazionali. Il Covid in effetti ha rotto un equilibrio e la guerra in Ucraina certo non aiuta a trovare un nuovo assetto rapidamente»
Riccardo Sandre

Energia, materie prime e mercati ma anche logistica e spazi aerei modificati dalle tensioni geopolitiche in atto sono i punti dolenti del futuro della filiera farmaceutica del territorio. Sono anni turbolenti per il sistema industriale del Nordest, un sistema più di altri proiettato sui mercati internazionali e forse anche per questo esposto in misura maggiore alle continue tensioni di un mondo in rapida evoluzione.

In questo contesto agisce Fis, Fabbrica Italiana Sintetici di Montecchio Maggiore a Vicenza. La società, che esporta in oltre 60 paesi del mondo, è un punto di riferimento internazionale per prodotti intermedi e principi attivi utilizzati nella realizzazione di prodotti custom per l’industria farmaceutica (che valgono il 75% del volume d’affari del gruppo), farmaci generici (circa il 24%) e veterinari (1%).

Una società nata nel 1957 ed ora attiva in tre stabilimenti (tra Montecchio, Lonigo e Termoli) forte di 1850 dipendenti e con un fatturato 2020 di circa 500 milioni di euro. Alla guida della Fis in questi momenti complessi c’è Michele Gavino, ingegnere che ha percorso tutti i gradini della gestione aziendale.

Come hanno influito il Covid prima e la guerra in Ucraina poi sulla vostra supply chain?

«Per l’industria farmaceutica che noi serviamo non è nemmeno pensabile l’idea di rimanere senza alcuni principi attivi, ne va della stabilità di interi sistemi sanitari nazionali. Il Covid in effetti ha rotto un equilibrio e la guerra in Ucraina certo non aiuta a trovare un nuovo assetto rapidamente».

Quali sono i motivi principali delle difficoltà che riscontrate in questi ultimi 2 anni?

«L’ effetto asincrono degli stop industriali causati dalla pandemia con il blocco della attività dapprima in Cina e in Asia, poi in Europa e solo in seguito negli Stati Uniti e poi ancora con blocchi a singhiozzo che proseguono tutt’ora hanno prodotto discontinuità molto difficili da gestire. Penso ad esempio all’attuale lockdown di Shanghai. Un blocco che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla logistica globale».

State pensando a soluzioni alternative?

«Il trasporto via mare in questi ultimi due anni è diventato più difficile: i container sono difficili da trovare, i costi sono cresciuti enormemente e i tempi sono raddoppiati. Per questo abbiamo scelto, per alcuni prodotti, di privilegiare il trasporto aereo che già era uno dei nostri vettori. Ma la guerra in Ucraina sta rendendo più complicata anche questa soluzione: le rotte aeree dalla Cina (che è uno dei nostri principali fornitori di materie prime) all’Italia in massima parte passano per gli spazi aerei dei paesi belligeranti».

Ma c’è pure un tema di reperibilità alla fonte delle materie prime, non è vero?

«Già: in Cina poco prima dell’arrivo del Covid la questione dell’inquinamento era vista come una priorità assoluta, tanto da fare approvare una legge nazionale che impone fermi produttivi fino al 30% delle attività alle singole province che superano le soglie relative alla diffusione di alcuni agenti inquinati. Nessuno credeva, dopo il Covid, che questa legge sarebbe stata applicata e invece è stato così. Ecco allora che alle incertezze della catena logistica si aggiungono quelle produttive».

I l conflitto russo-ucraino come impatta?

«Noi non esportiamo pressoché nulla in Russia e Ucraina direttamente. Il nostro problema si chiama import di materie prime: se prodotti come l’ammoniaca possiamo reperirle anche altrove, pure a prezzi più alti, per metalli preziosi come il palladio, necessario come catalizzatore di alcuni processi chimici fondamentali, è un’altra cosa. Russia e Ucraina esportano circa il 50% del materiale e senza di loro il mercato è dimezzato nei fatti».

Alla luce di queste difficoltà come avete chiuso il bilancio 2021 e come vedete l’anno in corso?

«Nel 2021 siamo riusciti a crescere comunque, pure con tutte le difficoltà legate ad un grave aumenti dei costi dell’energia e ad una supply chain complicata dalle evenienze di questi anni. Per il 2022, ad alcune condizioni, siamo convinti di potere proseguire nei nostri programmi di crescita anche se, attualmente, le incertezze sono tali e tante che dovremo rivedere probabilmente i nostri budget in funzione della situazione geopolitica globale».

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