Greenwashing e imprese, arriva la stretta dell’Unione europea

L’avvocato Barbara Sartori: «La trasparenza in materia ambientale è un vero e proprio obbligo giuridico, la cui violazione può comportare sanzioni economiche significative»

La redazione

Negli ultimi anni, la sostenibilità ha assunto un ruolo determinante nelle strategie aziendali, sia per le crescenti aspettative dei consumatori sia per la spinta normativa verso una maggiore trasparenza. Tuttavia, il fenomeno del greenwashing ha imposto una regolamentazione più rigorosa per contrastate l’utilizzo di dichiarazioni ambientali ingannevoli.

La recente adozione della Direttiva (UE) 2024/825 e la proposta di direttiva sui green claims rafforzano il quadro giuridico europeo in materia, imponendo agli Stati membri obblighi di recepimento volti a garantire maggiore trasparenza nelle dichiarazioni ambientali delle imprese.

«In questo contesto si inserisce il caso General Logistics Systems (GSL), che ha segnato un punto di svolta nelle pratiche commerciali scorrette connesse alla sostenibilità» spiega l’avvocato padovano Barbara Sartori dello Studio Legale Cba. Con decisione pubblicata lo scorso 4 febbraio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato il noto operatore della logistica con diverse sedi anche in Veneto  per aver usato dichiarazioni ambientali non verificate nella promozione del programma "Climate Protect" come un’iniziativa di compensazione delle emissioni, senza tuttavia fornire ai consumatori le informazioni necessarie a distinguere tra riduzione e compensazione delle emissioni.

«L’impiego di espressioni come "zero emissioni" e "carbon neutral" si è rivelato privo di una base scientifica trasparente» continua Sartori «dall’altro lato, il sovrapprezzo imposto ai clienti per aderire al programma non è stato accompagnato da indicazioni chiare sui criteri di calcolo e sull’effettiva destinazione dei fondi raccolti. La sentenza dell’AGCM ha così confermato che la trasparenza in materia ambientale non è più soltanto una questione reputazionale, ma un vero e proprio obbligo giuridico, la cui violazione può comportare sanzioni economiche significative».

Questa decisione si fonda sul quadro normativo italiano vigente in materia di pratiche commerciali scorrette ed in particolare su precisi articoli del Codice del Consumo, che vietano le pratiche ingannevoli, comprese quelle relative ai green claims.

Tra i casi più rilevanti quello che ha visto sanzionare una società petrolifera per claim ambientali non verificabili. Altri interventi hanno riguardato prodotti pubblicizzati come “biodegradabili” o “carbon neutral” senza basi scientifiche adeguate.

«L’inasprimento della regolamentazione e l’attenzione crescente delle autorità impongono alle imprese del nordest una revisione delle strategie di sostenibilità» conclude l’avvocato Sartori «il greenwashing non è più solo un rischio reputazionale, ma una violazione normativa con conseguenze economiche rilevanti. Per mitigare i rischi, è essenziale adottare un approccio basato su evidenze scientifiche, supportando ogni dichiarazione ambientale con dati verificabili e certificazioni riconosciute. La comunicazione deve essere trasparente, evitando claim generici o fuorvianti. E’ necessario dunque prevenire contestazioni e garantire il rispetto delle normative, rafforzando al contempo la fiducia dei consumatori».

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