Il crollo dei microbirrifici con i fatturati giù del 90%. E anche Trieste piange

TRIESTE Fra i settori intaccati pesantemente dalle conseguenze della doppia ondata di Coronavirus c’è anche quello delle birre artigianali. Come emerge da un monitoraggio sull'andamento delle attività avviato da Unionbirrai (l’associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, ndr) il distretto dei microbirrifici locali registra contrazioni che sfiorano il 90% dei fatturati, dovute soprattutto alla chiusura di pub e ristoranti, attività economiche alle quali i piccoli birrifici di provincia si rivolgono. Una situazione pesante che non risparmia nemmeno i produttori di birra artigianale del Friuli Venezia Giulia e di Trieste. «Non sappiamo ancora quantificare le nostre perdite - spiega Giulio Ceschin, legale rappresentante del birrificio triestino Cittavecchia. Ci penalizza il fatto che i nostri clienti ora sono chiusi, mentre prima lavoravano a mezzo servizio. Perciò le nostre perdite sono molto consistenti».
Dopo le restrizioni subite nella prima quarantena, dove le vendite anche per il birrificio Cittavecchia si sono avvicinate allo zero, il periodo estivo ha regalato un po’ di ossigeno alle casse della ditta. «Già a settembre, però si è avuto il primo calo, fino ad arrivare a novembre, mese nel quale siamo fermi al 30% delle vendite. Si spera per Natale di avere un po’ di ossigeno - aggiunge Ceschin - ma per il resto ci tocca rifinanziarci da soli, perché non possiamo contare nemmeno sull’aiuto delle banche». Il birrificio Cittavecchia ha quattro dipendenti, due dei quali attualmente in cassa integrazione, due soci e un collaboratore esterno. Il tema degli aiuti statali è quello più controverso e allo stesso tempo urgente, che potrebbe permettere al settore di sopravvivere.
«Il dato economico rilevato - sostiene sempre l’Unionbirrai - comporta la necessità di inserire fra le categorie a cui destinare ristori di tipo economico anche i produttori indipendenti di birra artigianale. Manca - spiega sempre l’associazione di categoria - nei Decreti Ristori e Ristori bis il codice Ateco dei microbirrifici, i quali vengono accostati alle multinazionali della birra che, al contrario dei birrifici artigianali, hanno uno sbocco commerciale soprattutto nella grande distribuzione organizzata. Emblematico è il caso del piccolo birrificio triestino Tazebao, con una produzione di birra - prevalentemente ad alta fermentazione - di circa 400 hl all’anno.
«Il nostro microbirrificio vive grazie alla pizzeria - spiega il titolare Fernando Miele -, perciò vendiamo la nostra birra solamente se è il ristorante è aperto. Noi abbiamo chiuso in marzo continuando a lavorare solamente con il domicilio, fatto che ci ha costretto a buttare via gran parte della nostra produzione, in quanto trattasi di birra fresca non pastorizzata».
Alla contrazione del fatturato, però, si è aggiunta la beffa subita per i mancati aiuti dello Stato. «Abbiamo ricevuto un ristoro come pizzeria ma non come birrificio perché non è la nostra attività preminente - sottolinea Miele -. Si tratta di una vicenda paradossale perché da un lato lo Stato ci costringe a pagare la licenza e le tasse per due attività, ma al momento del bisogno non veniamo aiutati per ogni attività che forniamo, ma solo per quella prevalente». —
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