Il destino dei jeans Gas nelle mani di Dea Capital e Claudio Grotto regala il 10 per cento dell'azienda ai dipendenti

VICENZA. «Non abbiamo più niente da perdere, stiamo facendo di tutto per mantenere un’azienda che ha un valore, un piccolo pil da dare al nostro sistema e posti di lavoro da salvaguardare. Noi riteniamo meriti di continuare ad esistere».
Cristiano Eberle, amministratore unico di Grotto Spa detentrice del noto marchio di abbigliamento Gas si emoziona nel raccontare l’azienda che sta cercando di salvare. Il gruppo di Chiuppano di proprietà della famiglia Grotto è appeso alla votazione dei creditori del 20 maggio, primo creditore Dea Capital. Il percorso che ha portato a questa situazione è lungo e complesso ma, se il concordato verrà omologato, vedrà l’ingresso nel capitale dei dipendenti, al momento hanno sottoscritto 60 dei 180 impiegati nell'azienda, un numero destinato a salire. «Claudio Grotto, socio maggioritario al 65%, ha deciso di regalare il 10 per cento del capitale della holding Luna che controlla il 100% di Gas ai dipendenti riuniti in una costituenda cooperativa» spiega Eberle.
Lasciarla fallire e pensare di ricavare più soldi dalla vendita del marchio è una pia illusione, spiega. «In questo periodo non abbiamo licenziato nessuno, i 5 esuberi che c’erano li abbiamo ricollocati comprando un macchinario per produrre mascherine».
Ma a rischiare ci sono anche i dipendenti dell’indotto, dalla fine di Gas rischiano il posto 400 lavoratori in totale. Il destino dell’azienda è tuttavia nelle mani del voto determinate di Dea Capital, che aveva acquisito il debito dell’azienda con altri intenti. Quel debito sarebbe dovuto essere convertito in strumenti partecipativi che avrebbero portato la società finanziaria a diventare azionista di maggioranza, ma l’operazione è stata poi bloccata. Lo stato dell’indebitamento ammonta a 53,7 milioni di euro: di cui 34,5 sono in mano a Dea Capital – acquisiti a dicembre 2017 dalle banche -, 12,7 di Amco e 6,5 milioni fra MPS, Intesa, Unicredit e BPM.
La Grotto ha chiesto l’accesso al concordato prenotativo a novembre 2019. Eberle è arrivato a maggio dello stesso anno. Sotto la sua la guida l’azienda è riuscita a invertire i trend negativi degli ultimi anni, riuscendo a chiudere il 2020 con un fatturato pari a circa 26 milioni di euro, con ebitda superiore a 1,5 milioni e una cassa tra i 6 e i 7 milioni di euro. «Quando sono arrivata questa era un’azienda con 1 milione di liquidità. Noi abbiamo dimostrato, nonostante il periodo pandemico e senza la possibilità di accedere a nessuno degli strumenti di finanziamento con garanzia di stato, essendo noi in concordato, di saper produrre finanza dalla nostra attività».
E questo nonostante la terribile crisi che ha investito il mondo della moda e le aperture a singhiozzo dei negozi. «Tutto quello che era possibile fare lo abbiamo fatto, con una serie di misure per rendere la struttura più efficiente. Stiamo anche aprendo nuovi mercati: Cina, Russia e Usa,e sto parlando di ordini già fatturati. Intendiamo dare al ceto creditorio il massimo grado di soddisfazione, che per ora è prudenziale perché non comprende lo sviluppo internazionale dal quale stiamo avendo dei primi risultati che speriamo di confermare».
Inoltre il nuovo piano concordatario presentato il 4 febbraio scorso ha previsto la deliberazione di una azione di responsabilità. La stessa famiglia Grotto si è “autovotata” l’azione che coinvolge manager, revisori, advisor come Mediobanca e Roland Berger, e amministratori dal 2010 al 2018 per l’inefficacia manifesta delle condotte volte a risanare l’azienda.
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