Il Made in Nordest torna in Serbia: «Qui produrre è più semplice»

Sono 1.600 le aziende partecipate con capitale italiano che pesano per il 5% del Pil attirate. da sgravi fiscali e manodopera a basso costo: parlano gli imprenditori e l’ambasciatore lo Cascio

Paolo Possamai

INVIATO A BELGRADO/

«Stiamo ponendo le basi per portare qui a lavorare De Eccher, Almaviva, Terna, Cdp». Lo dice Carlo Lo Cascio, da due anni ambasciatore d’Italia in Serbia, dal palco dell’assemblea di Confindustria Serbia. Avrebbe potuto arricchire assai il ventaglio delle imprese italiane che stanno valutando di avviare attività e stabilimenti tra la Sava e il Danubio.

Tra le altre, Maschio & Gaspardo e Saipem. Perché, come sottolinea Alessandro Bragonzi (Bei), «tutte le stime indicano una crescita del prodotto interno lordo tra 6 e 7%».

Non è un’annata eccezionale, la crescita è arrembante da lungo tempo (nel tragico 2020 il Pil è sceso appena dell’1%). Così l’assemblea confindustriale viene celebrata nel nuovo stabilimento di Istrabenz Plini, che fa parte del bergamasco Siad Group (692 milioni di fatturato producendo gas tecnici, per il 47% all’estero, Ebitda di 139 milioni).

Roberto Sestini, 86 anni, presidente di Siad sintetizza: «Abbiamo investito qui una ventina di milioni, ci siamo per restare». Concetto che torna a più riprese, nelle parole di tanti industriali e confindustriali. «Non mi dispiace che la Cina sia lontana, io preferisco i Balcani e ci siamo fuori da logiche di rapina ma in un rapporto franco e di rispetto reciproco» aggiunge Patrizio Dei Tos, da presidente di Confindustria Serbia.

Le parole vanno lette alla luce dei numeri, dei fatti, delle prospettive. I numeri dicono che le circa 1.600 aziende partecipate da capitale italiano impiegano 50mila dipendenti e pesano il 5% del Pil serbo.

I numeri dicono che l’Italia è seconda solo alla Germania nelle relazioni commerciali con la Serbia, e che nei primi sette mesi del ‘21 l’export è cresciuto del 26% e l’interscambio del 27% (3,7 miliardi negli scorsi anni, alla fine del ‘21 proiettato oltre i 4).

I fatti attengono alle politiche di incentivi fiscali e a fondo perduto, ma anche alla disponibilità di manodopera formata e tuttora a costo contenuto. Le prospettive chiamano in causa fenomeni planetari post Covid, come la riduzione della dipendenza dalla filiera di fornitura del Far East. La Serbia, in particolare, può essere una piattaforma produttiva privilegiata per i rapporti con Russia e Turchia.

Tutto rose e fiori? Annino De Venezia, direttore generale della branch serba della multinazionale Aunde, produttrice di fodere per auto, segnala che negli ultimi 6 anni il salario minimo è stato aumentato per 7 volte. Che innesca una formidabile mobilità dei lavoratori, sempre alla ricerca di una paga migliore.

Da non sottovalutare nemmeno il tema Covid, poiché dopo una imponente e rapida prima campagna di vaccinazione, la soglia raggiunta del 53% di cittadini immunizzati non accenna a salire. Ne derivano frequenti assenze sui luoghi di lavoro.

Ma quel che forse maggiormente colpisce è la cura sartoriale che i vertici di governo dedicano all’imprenditoria italiana. Relativamente facile e ovvio con i tedeschi, che si presentano con Bosch, Siemens, Db Schencker e via elencando colossi.

Molto più complicato con la creativa folla italica. Ma è un fatto che poco prima dell’assemblea il presidente della repubblica e autentico leader assoluto a Belgrado, Aleksandar Vucic, ha chiamato al cellulare Dei Tos, per assicurare l’attenzione e l’interesse del governo a accrescere il rapporto con gli attori economici italiani.

«La domanda di Italia in Serbia e nel resto della regione balcanica resta alta, spetta a noi soddisfare questa richiesta con un partenariato sempre più forte e incisivo» osserva l’ambasciatore Lo Cascio.

«Ritengo che la Serbia possa essere un sito straordinariamente favorevole per un investitore di lungo periodo, per parte nostra garantiamo le condizioni più valide al contorno in termini di efficienza amministrativa, semplicità, incentivi fiscali e finanziari».

Parole di Danilo Cicmil, consigliere del presidente Vucic per gli investimenti esteri, una sorta di plenipotenziario, rilevante anche più di un ministro. E in effetti, per esempio, non è poca cosa poter contare o meno su un contributo statale di 9mila euro a fondi perduto per ogni posto di lavoro creato e mantenuto per 5 anni. Occorre passare dall’ufficio del “signor Danilo”.

De Venezia fa i conti con un quadro molto più ampio. Aunde, quartier generale in Germania, dispone di un centinaio di impianti produttivi, ovunque nel mondo. Va e sta dove maggiori sono le convenienze. «Le agevolazioni garantite dal governo serbo sono particolarmente interessanti - osserva - e anche il costo della manodopera rimane competitivo.

Ma occorre maggiore stabilità anche su questa voce». La ministra Tatjana Matic, delegata a commercio, turismo e telecomunicazioni, ringrazia dal palco “il signor Cicmil per il grande lavoro della squadra del presidente della repubblica” e si dice “molto felice e contenta” per l’apporto all’economia serba data dalle 1.600 imprese italiane.

Matic si dichiara poi “convinta”, al termine dei lavori, che “nel futuro i rapporti saranno approfonditi in tutti i campi di interesse comune”. E poiché Matic si occupa pure di turismo, l’assemblea chiede di ripristinare al più presto il volo aereo Belgrado-Venezia.

Applausi, dinanzi all’impegno di governo. Bernardo Sestini, Ceo di Siad Group e vice presidente di Federchimica, abbozza una piccola correzione: «Meglio far scalo su Verona, così sta a metà strada rispetto a tutti noi».

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