Il New York Times celebra i vini macerati di Carso e Collio

L’autorevole quotidiano statunitense porta ad esempio tra i migliori “Orange wines” del mondo quelli prodotti sul Carso da Skerk, Vodopivec e Zidarich e sul Collio da Gravner e Radikon

Maura Delle Case

TRIESTE. Nuove soddisfazioni per i vini macerati Fvg. Stavolta a celebrare le bottiglie prodotte sul Carso e sul Collio da un pugno di visionari viticoltori è nientemeno che il New York Times nella rubrica firmata da Eric Asimov, autorevole critico del vino del quotidiano statunitense che tra Natale e Capodanno 2021 ha dedicato il suo intervento agli Orange wines, i vini arancioni o per dirla con i nostri produttori i Vini macerati

Nel suo articolo, Asimov racconta anzitutto cosa sono questi particolarissimi vini. «In sostanza – scrive –, i vini arancioni sono bianchi prodotti utilizzando le tecniche per fare i rossi, così come i rosati sono rossi prodotti usando i metodi per fare i bianchi». Definirli, semplicemente, vini naturali è – mette in guarda il critico – una semplificazione eccessiva: «I vini naturali devono rispettare una vasta gamma di imperativi, da come vengono coltivate le uve a come viene prodotto il vino. I vini Orange nascono semplicemente da specifiche tecniche di vinificazione».

Beniamino Zidarich
Beniamino Zidarich

Tecniche che uno dei protagonisti di questi tipo di vinificazione sul Carso, qual è Beniamino Zidarich, sono un’eredità di famiglia, tramandate di padre in figlio da almeno un paio di secoli. «Nel 1988 io ho semplicemente iniziato ad imbottigliare» minimizza il viticoltore giuliano. In realtà dietro c’è ben altro. Un lavoro che inizia in vigna e finisce nei tini di legno o pietra. «Ma in cantina – ammonisce Zidarich – il vino lo puoi solo rovinare, il più lo fa la vigna, è lì che si gioca l’80% del futuro vino». 


Il suo è uno dei nomi che Asimov porta ad esempio quando svela ai lettori americani l’esistenza, nel Nordest dell’Italia, di un’avanguardia di questa particolare produzione vitivinicola. 

«La manifestazione più recente (degli Orange wines) è iniziata dove il Friuli-Venezia Giulia, nell'Italia nord-orientale, incontra il confine con la Slovenia» che invita i lettori a cercare «grandi produttori come Gravner, Radikon, Skerk, Vodopivec e Zidarich. Queste, insieme alle bottiglie dalla Georgia, possono sembrare impegnative in quanto possono essere decisamente tanniche e del tutto diverse dai vini bianchi convenzionali,  ma spesso – aggiunge - sono deliziose».

Gli effetti dello “spot” i produttori locali hanno già iniziato a raccoglierli. Parola di Zidarich che racconta d’aver ricevuto, dopo l’uscita del pezzo, diversi contatti da oltreoceano di persone incuriosite dalla sua produzione. «Ennesimo segno di un movimento di appassionati in Usa che recentemente è di molto crsciuto e si interessa al nostro lavoro». Quello di un pugno di produttori. Nemmeno 15 in tutto. Piccoli e piccolissimi. Tutti all’opera tra il Collio e il terreno impervio del Carso. Tra tanta pietra e poca terra rossa. 

«Io lavoro in totale 10 ettari, tutti piccoli pezzi di terreno sparsi a macchia di leopardo – racconta ancora Zidarich –. Il vino è fatto con 100% di uva, si distingue per il sapore e il colore, per il fatto di non essere filtrato né chiarificato. Il vino nasce da un’uva sana, in vigna, sulla pietra e quando l’uva arriva in cantina viene lasciata macerare in tini di legno o più spesso pietra, lo stesso elemento dal quale viene, è come tornare all’origine». 

Ed è un continuo tornare anche per Zidarich, che vinifica come i nonni, i bisnonni e i trisnonni. «Una sola cosa abbiamo cambiato – aggiunge – ed è il lavoro in vigna, una volta si produceva molta più uva» spiega raccontando che lui, che produce solo vini macerati, fa circa 30mila bottiglie l’anno. Insieme ai produttori più spallati non si va molto oltre le 100mila bottiglie totali. Una produzione di nicchia che finisce la maggior parte all’estero. «I miei vini li comprano in Giappone e Danimarca, il 40% resta in Italia, e ora si stanno accorgendo di noi anche gli Stati Uniti». 

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