«Il Nord Est è centrale per Fratelli Cosulich»
Un impero, fatturato sui 2 miliardi, cresciuto a colpi di acquisizioni, senza mai perdere l’identità di gruppo familiare. Oggi opera in 27 paesi in 15 diverse unità di business, con sedi in Italia a Genova, Venezia, Trieste, San Giorgio di Nogaro, Napoli, Milano, Savona e Livorno
Un simbolo dell’industria italiana dello shipping e del nostro capitalismo familiare. Fratelli Cosulich è una conglomerata di 134 società nel mondo, con oltre 2 mila dipendenti, le radici a Trieste, dove tutto ebbe inizio nel 1857 a Lussinpiccolo, e quartier generale a Genova. Un impero, fatturato sui 2 miliardi, cresciuto a colpi di acquisizioni, senza mai perdere l’identità di gruppo familiare. Oggi opera in 27 paesi in 15 diverse unità di business, con sedi in Italia a Genova, Venezia, Trieste, San Giorgio di Nogaro, Napoli, Milano, Savona e Livorno.
Nel cda della Fratelli Cosulich, presieduto da Augusto Cosulich che è anche amministratore delegato, ci sono cinque membri della famiglia. Marta Cosulich è figlia del capitano Antonio Cosulich, cugino di Augusto, scomparso un anno fa, presidente del gruppo, che costruì le attività di trading bunker nel Far East e aprì il primo ufficio in Cina. Per questo Marta, che ha il dna del cosmopolitismo, ha vissuto giovanissima con la famiglia ad Hong Kong, dove ha fatto le scuole, e in Cina, dove ha viaggiato a fine anni Novanta. Nel gruppo dal 2007, oggi è amministratore delegato con i cugini Matteo, Timothy, Tomaso.
Una laurea in matematica, esperta di big data, è l’unica donna nel board, con un ruolo chiave nelle attività di logistica nell’area dell’Europa Sud Centro-Orientale. Marta da due anni divide il suo tempo fra gli uffici triestini (dove la Fratelli Cosulich mantiene sede legale), Capodistria e Fiume.
Marta Cosulich, come vede i mercati fra guerre e rischi geopolitici?
«Le criticità riguardano l’imprevedibilità causata da eventi globali come guerre e problemi logistici, ad esempio nel Canale di Suez. Questa incertezza rende difficile per le aziende elaborare budget e fornire servizi adeguati ai clienti, sia in termini di prezzo che di disponibilità di spazi. Rispetto al passato, quando i costi di trasporto erano più stabili e prevedibili, oggi le variazioni di noli, cambi e tempi di consegna sono molto più significative».
Come attenuare questi rischi?
«Molte aziende italiane stanno cercando fornitori alternativi più vicini, riducendo i tempi di transito e aumentando la resilienza della supply chain».
Temete i dazi di Trump?
«La questione dei dazi tra Stati Uniti e Cina sta alimentando timori, non tanto per un impatto diretto sul nostro gruppo, quanto per le possibili conseguenze sui mercati globali. Le produzioni cinesi, in particolare, potrebbe risentire dei dazi minacciati da Trump. Il Paese attraversa una fase complessa, con problemi legati ai consumi interni e alla crisi immobiliare».
Nel vostro gruppo conoscete a fondo il mercato cinese visto che siete alleati da una quarantina d’anni con la compagnia di Stato cinese Cosco nella prima joint venture italo-cinese. Come valuta questi scenari?
«Anche se il momento è complicato, in prospettiva vedo possibilità di ripresa. Nonostante le difficoltà attuali, il Paese deve essere visto non solo come una sfida per l’Europa, ma soprattutto come un’opportunità per consolidare i rapporti economici con un mercato di grande rilevanza globale».
Di recente avete creato la holding Fratelli Cosulich Adriatic, nell’ambito di un piano di sviluppo verso il Sud Est Europa. Un ritorno al passato?
«Mio nonno e suo fratello, nel dopoguerra, si spostarono a Genova perché il porto di Trieste all’epoca era diventato marginale rispetto ai grandi porti del Mediterraneo. La regione che si estende dal Nord Est dell'Italia alla Slovenia, alla Serbia, alla Croazia, all'Austria, diventa centrale per la nostra strategia di crescita. Per questo negli ultimi quindici anni, abbiamo progressivamente ripreso a investire nell’area dell’Adriatico e su Trieste, che sta guadagnando rilevanza come alternativa competitiva ai grandi porti del Nord Europa».
Lei supporta il top management di aziende chiave del gruppo come Link Industries, Tpg Express in Slovenia e Depolink a Capodistria. L’Adriatico e Trieste sono tornati competitivi nel commercio internazionale?
«Trieste, Capodistria e Fiume sono porti oggi strategici per le esportazioni verso l'Austria e il Centro Europa. Abbiamo quindi deciso di ampliare qui le nostre attività logistiche investendo in infrastrutture come depositi, terminal e servizi accessori. Questo sviluppo ci permette di rispondere alla crescente centralità dell’Adriatico, sfruttando le competenze storiche del nostro gruppo e adattandoci alle nuove esigenze del mercato».
La burocrazia italiana è spesso vista come un ostacolo.
«Ci teniamo a lavorare in Italia, siamo profondamente legati al nostro Paese, ma non possiamo ignorare alcune difficoltà. La burocrazia, purtroppo, è un fattore che complica le operazioni logistiche, rallentando i processi e aumentando i costi. Questo porta alcuni clienti a preferire scali come quelli croati, dove il sistema è più snello, meno gravato da ostacoli burocratici».
Quali sono i vantaggi?
«Per noi, la presenza nei porti sloveni e croati è strategica, non solo per la logistica tradizionale ma anche per settori specifici come quello della nautica e dei megayacht. La Croazia è diventata un punto di riferimento per questo mercato, grazie alle sue infrastrutture e al contesto normativo più favorevole».
Lei ha una formazione in Big Data, giusto?
«Esatto. Ho una laurea in matematica, che mi ha aiutato molto nel mio percorso. Tutto diventa sempre più digitale, e i Big Data e l’analisi dei dati sono fondamentali. Oggi, con un team di sole sei persone che riporta al Cfo, riusciamo a gestire un’azienda di oltre 130 aziende grazie a sistemi di controllo, gestione e ottimizzazione avanzati».
Oltre alla logistica, di cosa vi occupate?
«Siamo attivi in vari settori: spedizioni, yachting, trading, assicurazioni, IT e acciaio. Collaboriamo con il gruppo siderurgico Trasteel, dove siamo soci di minoranza, nella logistica dell’acciaio».
Ad esempio?
«Molto importante è la nostra attività di catering e provisioning per le unità petrolifere offshore in Brasile nelle aree di Rio de Janeiro, Santos ed Espirito Santo, avviata vent’anni fa da mio zio. Serviamo 30 unità offshore garantendo circa 4 milioni di pasti all’anno, con un team di quasi mille dipendenti impiegati a bordo delle unità offshore ed a terra per supportare la logistica».
Come funziona il servizio sulle piattaforme?
«Le unità offshore ospitano in media 120-150 persone, assistite da uno staff catering di 15-20 nostri addetti che si alterna a bordo ogni 14 giorni. Oltre alla fornitura di cibo, ci occupiamo della preparazione dei pasti che sono personalizzati anche in base alle nazionalità».
Previsioni 2024 per il vostro gruppo?
«Sarà comunque un anno positivo, con risultati leggermente inferiori rispetto al 2023 che aveva registrato un fatturato di 1,9 miliardi di euro e un utile netto di circa 30 milioni. Dipenderà principalmente dall’andamento dei prezzi, come quelli del bunkeraggio (il carburante per le navi) e dell’acciaio». —
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