Industriali del Nord Est: no ai controllori di Stato nella gestione d’impresa

Il governo vuole uomini del Mef nelle aziende che hanno ricevuto aiuti. Enrico Carraro, Confindustria Veneto: «Norma inapplicabile e intrusiva»

Piercarlo Fiumanò
SEDE MINISTERO DELLE FINANZE
SEDE MINISTERO DELLE FINANZE

«Inaccettabile e intrusiva»: il presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia, Pierluigi Zamò, attacca la norma del governo prevista dall’articolo 112 della Legge di Bilancio 2025 che imporrebbe in tutte le società, enti e fondazioni che hanno ricevuto fondi pubblici oltre quota 100 mila euro, la presenza di un guardiano dei conti nominato dal Mef che siederebbe nei collegi di revisione o sindacali.

Una posizione critica, quella di Zamò, sottoscritta in pieno anche dal presidente degli Industriali del Veneto Enrico Carraro: «È una norma che rischia di colpire migliaia di aziende e di difficile applicazione».

Entro fine marzo dovrebbe arrivare un decreto che preciserà meglio questo ingresso dei controllori di Stato nella aziende. Ma intanto si è acceso un confronto duro anche all’interno del governo dopo che il vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, ha tuonato sostenendo che questa proposta gli ricorda i metodi della Stasi, i servizi segreti dell’ex Germania Est. L’ex presidente del Parlamento Europeo ha fatto capire di non concepire come il via libera agli investimenti di una azienda debba superare l’approvazione di rappresentanti del governo negli organi societari.

L’eco della protesta dei imprenditori sarebbe arrivata così al ministro Giorgetti che pur mantenendo le linee di principio del provvedimento, sarebbe pronto a fare qualche modifica. Ma secondo Zamò c’è ancora da superare un pregiudizio etico di fondo.

Per l’imprenditore il provvedimento in questione «parte dal presupposto che le aziende utilizzino in modo improprio i fondi pubblici e che necessiterebbero, pertanto, di un controllo da parte di un soggetto esterno. «Questa misura - spiega il presidente di Confindustria Fvg – ha così il non invidiabile primato di delegittimare in primis il ruolo degli imprenditori e, implicitamente, anche quello dei dottori commercialisti e dei revisori contabili già inseriti nei collegi sindacali».

In campo è sceso nei giorni scorsi anche il direttore generale di Assonime, l’associazione delle imprese quotate, Stefano Firpo, secondo cui la norma «avrà come unico risultato quello di far fuggire gli investitori internazionali mentre si cerca di attrarli con la riforma del testo unico sulla finanza».

«Condivido in pieno la posizione di Zamò» sottolinea il presidente degli industriali del Veneto, Enrico Carraro «perché stiamo parlando di un provvedimento che colpisce migliaia di piccole e medie aziende. Lo vedo come un atto di sfiducia nel confronti del mondo delle imprese. Mi pare che sia una norma di difficile applicazione e spero che si sia trattato solo di una svista».

Peraltro Carraro ipotizza che questa norma sui guardiani dei conti nelle aziende potrebbe finire anche sotto la lente di Bruxelles: «Un governo che si dichiara liberista nei confronti delle imprese non può che fare marcia indietro», conclude Carraro.

La stessa Confindustria, sentita nei giorni scorsi dalle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato, oltre a sottolineare la necessità di una manovra che integri misure a favore di investimenti e competitività, ha criticato la proposta di imporre rappresentanti del Mef negli organismi societari dei soggetti che ricevono contributi pubblici. Nel mirino anche il taglio del fondo automotive, lo spostamento unilaterale del riparto dei ricavi nel settore farmaceutico, la rimozione dei limiti di fatturato per l’applicazione dell’imposta sui servizi digitali.

Secondo il Ddl Bilancio la ratio di tali disposizioni «sarebbe quella di garantire una maggiore efficienza e un migliore impiego della spesa pubblica». Ma ciò nonostante, «l’imposizione di un sindaco o revisore di nomina ministeriale» insiste il presidente Zamò «è una misura eccessivamente restrittiva se non addirittura intrusiva delle dinamiche di impresa e non migliora l’efficienza della spesa pubblica». Il punto è che secondo il numero uno degli Industriali Fvg le disposizioni “dimenticano” che le principali norme di incentivazione sono già soggette a forme di monitoraggio che spesso comportano oneri significativi a carico degli imprenditori.—

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