La centrale di Chernobyl nelle mani dei russi. Quel “sarcofago” costruito dalla Cimolai per coprire il reattore 4
Dopo il disastro fu un'altra azienda nordestina, la Casagrande, a contribuire a realizzare le prime opere di contenimento delle radiazioni. Nel 2016 è stata completata la seconda copertura che dovrebbe resistere per un centinaio di anni
PORDENONE. A volte basta una parola per ricordare.
E se la parola è Chernobyl, ecco che la memoria torna al 26 Aprile 1986 quando il reattore numero 4 della centrale nucleare andò fuori controllo.e una nube radioattiva iniziò a muoversi dall’Ucraina fino a raggiungere buona parte dell’Europa centrale, dell’Europa del Nord e anche l’Italia.
Fu il più grave incidente della storia del nucleare civile.
Diverse le vittime al momento dell’incidente, mentre è incerto il bilancio di coloro che persero la vita a causa di tumori provocati dall’esposizione alle radiazioni, che si stimano in diverse migliaia.
Centinaia di migliaia di persone vennero sfollate e un’area grande come il Lussemburgo da allora non ospita attività umane.
Per mettere in sicurezza la centrale si mobilitarono più di un’impresa del Nordest
La prima fu la Casagrande che, nell’imediatezza del disastro, realizzò un primo intervento per la messa in sicurezza del nocciolo del reattore nucleare. Un primo sargofago che, dopo vent’anni, ha iniziato a dare segnali di cedimento
Poi arrivò, nel 2012, un consorzio di imprese francesi e ucraine, Novarka, che ha dato il via al nuovo progetto.
Il vecchio sarcofago era stato costruito direttamente sopra l'edificio del reattore. Ed era costato molto realizzarlo, anche in vite umane. Trent'anni dopo la radioattività di quel sito è tale che un uomo, all'interno dell'edificio, morirebbe in pochi minuti.
Ecco dunque che il nuovo sarcofago è stato assemblato in un'area adiacente e in due parti distinte che, una volta completate, sono state fatte scivolare lungo dei binari fino a coprire il primo sarcofago.
Questa "coperta" di cemento e acciaio alta 110 metri, lunga 164 e larga 257 metri, più o meno le dimensioni di 3 campi di calcio, del valore di circa 1,5 miliardi di euro, ha un bel po’ di tecnologia e materiali made in Pordenone.
E’ stata la Cimolai, infatti, ad aver realizzato gli elementi in acciaio, 25 mila tonnellate di tubi, che costituiscono l'intelaiatura degli archi. Tubi che sono stati ricoperti con pannelli di resina che dovrebbero impedire l'accumularsi delle particelle radioattive.
Sotto questa coperta, che si stima dovrebbe resistere un centinaio di anni, c’è Uranio e Plutonio radioattivi, polvere contaminata e chissà che altro.
Una coperta che, auspicabilmente, non dovrebbe mai venire sollevata.
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