La padovana FuturaSun investe per una giga factory di pannelli fotovoltaici in Veneto

«Il progetto prevede un investimento da alcuni milioni di euro e oltre 100 assunzioni, per giungere a regime nel giro di qualche anno a una capacità di 1 GW, come il sito cinese». Annuncia l’amministratore delegato Alessandro Barin

Federico Piazza

PADOVA. Lo sviluppo della filiera europea del fotovoltaico passa anche dal Veneto. In un settore dominato dalla Cina la strada sarà lunga e impervia, ma un passo lo sta compiendo la padovana FuturaSun, l’unica azienda italiana produttrice di pannelli fotovoltaici proprietaria al 100% di una fabbrica in Cina.

FuturaSun, sede direzionale a Cittadella dove è nata nel 2008 dall'esperienza di un gruppo di tecnici e manager del distretto fotovoltaico dell’Alta Padovana, ha infatti l’obiettivo di avviare nel 2023 una produzione di pannelli anche in Veneto per servire da vicino il mercato continentale a partire da quelli a più alta efficienza da sviluppare con tecnologie europee. E dipendere meno dalla Cina. Una scelta mirata a facilitare anche l’accesso al mercato USA, che oggi ha forti barriere d’ingresso verso le tecnologie fotovoltaiche cinesi.

«Stiamo cercando in Veneto un sito industriale da adattare alla produzione di pannelli, per poi partire con la prima linea da 400 MW di dispositivi ad alta efficienza nella seconda metà del 2023», dichiara l’amministratore delegato di FuturaSun, Alessandro Barin. «Il progetto prevede un investimento da alcuni milioni di euro e oltre 100 assunzioni, per giungere a regime nel giro di qualche anno a una capacità di 1 GW, come il sito cinese».

Barin la Cina la conosce bene, vivendoci da vent’anni e avendovi seguito lo sviluppo del mercato e l’investimento industriale di FuturaSun, prima in joint-venture e dal 2018 con uno stabilimento con oltre 200 dipendenti totalmente di proprietà nella provincia di Jiangsu vicino a Shanghai. Una produzione che serve anche la Cina e altri mercati extra europei. Ma Italia ed Europa sono le destinazioni principali, nella fascia alta e medio-alta di mercato che cerca soluzioni ad alta efficienza. Prodotti principali sono i pannelli monocristallini per commerciale-residenziale, industriale e grandi impianti.

Il mercato europeo è in forte crescita e con un ottimo potenziale nei prossimi anni. E per FuturaSun, che sinora produce solo in Cina, l’Europa è molto importante. «Nel 2022 il fatturato globale supererà i 100 milioni di euro, rispetto ai 50 milioni del 2021 (erano 30 milioni nel 2020, 26 nel 2019, 19 nel 2018). E la redditività si difende, nonostante l’impennata dei costi energetici e le speculazioni sulle materie prime come il silicio».

Quest’anno raddoppia anche la produzione. «Da più di 200 MW nel 2021, chiuderemo il 2022 a oltre 400 MW. Ogni giorno nei porti di Trieste e Venezia giunge nostra merce – racconta Barin – e ora stiamo usando anche i collegamenti ferroviari, per esempio a fine luglio a Milano è arrivato dalla Cina un intero treno di 46 container nostri».

Ma produrre in Veneto rilevanti volumi di pannelli fotovoltaici è una sfida non indifferente, dopo la fine degli incentivi che oltre 10 anni fa ha decimato l’industria di settore a favore della concorrenza cinese. Per una produzione europea economicamente sostenibile di pannelli fotovoltaici occorre che si sviluppi anche una filiera continentale di materie prime, componentistica e tecnologie.

«Per fare un esempio molto pratico, – spiega Barin – ad oggi non c’è ancora una produzione europea delle celle fotovoltaiche che compongono i pannelli: devono quindi essere importate dalla Cina via aerea, perché sono strutture delicatissime che non possono essere trasportate per nave o treno. Ma farlo in aereo per piccole quantità è un conto, per grandi volumi è un altro. Insomma, per sostenere produzioni rilevanti di pannelli fotovoltaici in Europa serve una supply chain corta, e quindi capacità produttiva locale di vari componenti: celle, wafer, polysilicon, vetro, alluminio, polietilene, materie plastiche, etc.».

Molto di questo manca in Europa, dove innanzitutto non si fanno celle e wafer di silicio, se non in quantità residuali. Mentre l’unico grande produttore europeo di polysilicon (polisilicio o silicio policristallino) è la multinazionale tedesca Wacher Chemie, che però nel solare lavora soprattutto per l’industria cinese.

E anche per il polysilicon, secondo un report di Bernreuter Research, il Dragone detiene oggi il 76% della produzione globale rispetto al 30% del 2012, supera l’80% per quello con applicazioni solari, e tra i primi dieci produttori mondiali sette sono cinesi. «Noi siamo molto favorevoli allo sviluppo di una filiera europea, ma ci vorrà tempo perché non bastano solo i finanziamenti al settore ma occorre che si crei un sistema di imprese in competizione per i vari tipi di componentistica e materie prime, in grado di stare sul mercato rispetto ai concorrenti cinesi», sottolinea Barin.

«Per quanto ci riguarda, stiamo potenziando ed evolvendo la nostra attività di ricerca e sviluppo di tecnologie delle celle per un prodotto ancora più efficiente, adatto al mercato europeo, e nell’ambito dei progetti Horizon stiamo lavorando con altre aziende e centri di ricerca europei allo sviluppo di una macchina stringatrice delle celle da installare nel nuovo stabilimento»

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