«La parità di genere sia un obiettivo, se vogliamo ancora avere un futuro»

Superare il divario garantisce giustizia sociale, ma è anche più banalmente una “convenienza”. Ne è convinta Maria Cristina Piovesana, Ad di Alf Group e vicepresidente di Confindustria

Maria Cristina Piovesana
Maria Cristina Piovesana

SACILE. «Creare le condizioni per la parità di genere non risponde solo a ragioni di giustizia sociale, ma anche di convenienza. È la strada maestra per consentire al nostro Paese, all’insieme delle comunità che lo compongono, di avere un futuro».

Maria Cristina Piovesana ha un approccio tutt’altro che ideologico al tema dell’inclusività femminile, frutto evidentemente dell’esperienza maturata in questi anni, sia come presidente e amministratore delegato di Alf Group (azienda trevigiana attiva nella produzione di mobili), sia nei ruoli associativi. Nel 2014 è stata eletta presidente di Unindustria Treviso (dopo sei anni di vicepresidenza), prima donna a ricoprire questo incarico tra le confederazioni del Veneto, gestendo la fusione con Confindustria Padova che ha portato alla nascita della nuova associazione Assindustria Venetocentro. Al termine del mandato è entrata nel consiglio generale di Confindustria, della quale è vicepresidente dalla primavera del 2020, con delega all’Ambiente, alla sostenibilità e alla cultura.

Dottoressa, a suo avviso sulla parità di genere l’Italia è ancora molto indietro rispetto al resto dell’Occidente?

«Comincerei col dire che per fortuna negli ultimi decenni sono stati fatti dei passi in avanti consistenti. La pietra miliare è stata la legge sulla parità tra uomo e donna nei luoghi di lavoro risale al 1977, seguita nel 2011 dalla Golfo-Mosca sulle quote di genere nei ruoli apicali delle aziende. Certo, se guardiamo ai tassi di partecipazione femminile al mondo del lavoro siamo ancora molto indietro rispetto ad esempio ai Paesi del Nord Europa».

Ha citato la legge sulle quote rosa, che molti osservatori criticano, contestandone la scarsa meritocrazia.

«Comprendo le critiche, ma è stata una necessità per favorire un’apertura generalizzata verso le donne ai vertici delle aziende. Ora occorre accelerare sul fronte culturale, sia a livello di società, che di singole famiglie».

L’esperienza pandemica ha penalizzato soprattutto l’occupazione femminile. Come invertire la rotta?

«Intanto prendendo quello di buono che abbiamo appreso da questa triste esperienza. Abbiamo visto che molte attività possono svolgersi senza necessità di presenza cinque giorni su cinque in azienda. Lo sviluppo delle tecnologie digitali permette di lavorare anche a distanza, offrendo così maggiori opportunità alle donne, che ancora oggi si fanno carico di buona parte delle incombenze familiari. Occorre poi agire sulla scuola».

Auspica un’altra riforma del settore?

«L’aspetto cruciale è l’orientamento. Oggi il mercato del lavoro richiede soprattutto profili tecnici e in Italia abbiamo poche donne laureate nelle discipline cosiddette Stem, cioè scientifiche e informatiche. È importante che la scelta dell’università sia consapevole della direzione che sta prendendo il mercato».

Anche le aziende, tuttavia, non sempre sono recettive sul fronte della conciliazione vita-lavoro.

«È vero, ma la situazione sta evolvendo in positivo. C’è una crescente sostenibilità degli imprenditori su questi temi, anche nella consapevolezza che un lavoratore sereno, motivato è un valore aggiunto per l’azienda. Auspico un intervento del legislatore per favorire la conciliazione tra esigenze del mondo del lavoro e obiettivi di realizzazione personale e familiare. Quanto dico questo non penso solo alle donne, ma anche agli uomini dato che, ad esempio il tema della genitorialità, riguarda entrambe le figure. Non dimenticherei che il progressivo invecchiamento della popolazione è uno dei grandi limiti allo sviluppo del nostro Paese: occorre invertire la rotta per garantirci un futuro sostenibile sotto tutti i punti di vista».

A proposito di sostenibilità, in Confindustria ha la delega all’ambiente e alla sostenibilità. Come è messa l’Italia nel processo di transizione verso un modello di sviluppo più rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali?

«La transizione è in atto, che mi auguro sia il più veloce possibile perché da qui passa una fetta importante della competitività nel medio termine. Gli investimenti di oggi porteranno frutti importanti nel tempo, intercettando i gusti emergenti dei consumatori, aprendo porte d’ingresso alle filiere post-crisi pandemica. Attenzione però: non basta la volontà per completare con successo il passaggio verso un nuovo modello di business. Occorrono competenze, professionisti della sostenibilità…e non è facile trovarli sul mercato».

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