La ricchezza del Delta del Po: in un mare interno la cozza dop di Scardovari

Consorzio di tutela è stato riconosciuto socio di Origin Italia, ovvero è parte dell’associazione nazionale delle indicazioni geografiche, cui attualmente aderiscono 63 realtà consortili delle produzioni DOP-IGP, e che opera per favorire lo sviluppo delle Indicazioni Geografiche e dei Consorzi di tutela italiani

Mimmo Vita

ROVIGO. Nel Parco del Delta del Po, a sud-est di Porto Tolle (RO), c’è come un piccolo mare interno, la Sacca degli Scardovari. I delta dei fiumi, si sa, sono zone morfologicamente dinamiche. Anche per questo la Sacca è un’area a salinità variabile, in quanto l’acqua dolce del Po qui s’incontra con quella del mare attraverso una “bocca lagunare”. Ha una superficie di circa 3.200 ettari ed una profondità media tra 1,5 e i due metri. Per queste sue particolarità ben si presta all’acquacoltura, tanto che la prima cooperativa di pescatori risale al 1936.

Attualmente la produzione di cozze, vongole e ostriche provenienti da questa significativa realtà coinvolge molti operatori e operatrici (il 50%) e aziende familiari locali, un migliaio in tutto, la metà dei quali sulle cozze. Questa storicità è importante perché è il fondamento per poter richiedere la protezione di origine dall’Unione Europea, la DOP, conseguita 9 anni fa, nel 2013 con l’appellativo Denominazione di Origine Protetta della cozza di Scardovari. Si tratta di Mytilus galloprovincialis, un bivalve dalla forma allungata, unico mollusco autoctono DOP allevato in Italia.

Ora, la notizia è che, come ha voluto ufficialmente sottolineare il Presidente della Regione Luca Zaia, il suo Consorzio di tutela è stato riconosciuto socio di Origin Italia, ovvero è parte dell’associazione nazionale delle indicazioni geografiche, cui attualmente aderiscono 63 realtà consortili delle produzioni DOP-IGP, e che opera per favorire lo sviluppo delle Indicazioni Geografiche e dei Consorzi di tutela italiani attraverso la cooperazione e il coordinamento di tutti gli stakeholder.

Un risultato importante per un prodotto così particolare e sintesi di una tradizione?

«Ha ragione, risponde il Presidente del Consorzio della Dop Paolo Mancin, e voglio subito rimarcare quanto lei segnalava sopra. La metà di coloro che operano per la produzione delle cozze sono donne. In vista dell’8 marzo è un riconoscimento dovuto ad una presenza storica fondamentale. Il ruolo delle nostre lavoratrici è di essenziale importanza, senza di loro non saremmo mai riusciti, di certo, ad essere dove siamo oggi. Poi volevo anche ricordare che, sempre nel 2013, il Consorzio cooperative pescatori del polesine, uno dei 6 soggetti che costituiscono il Consorzio della Cozza di Scardovari DOP, ne ottenne la certificazione biologica».

Per la Provincia di Rovigo si tratta di una delle attività che impiegano più persone, nel Delta poi è fondamentale?

«Il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine, una OP, Organizzazione Professionale, possiamo dire essere, in termini occupazionali, la più grande azienda dell’intera provincia di Rovigo. La OP ha un giro d’affari tra i 50 e i 60 milioni di euro all’anno».

Tutti grazie alle cozze Dop?

«Non propriamente. Anzi, quelle marchiate DOP fatturano circa un milione. Il perché è presto detto, ed è anche alla base della nostra scelta di entrare in Origin Italia. Durante i primi anni di produzione della cozza DOP, avevamo puntato sulla GDO, la grande distribuzione organizzata. Ma questa scelta non riusciva a valorizzare il nostro prodotto e retribuire il nostro lavoro. Abbiamo quindi deciso ultimamente di operare attraverso canali più diretti per raggiungere i consumatori e i ristoratori, e così valorizzare al meglio la denominazione».

Ma quali devono essere le caratteristiche della cozza DOP?

«Guardi, sono il risultato delle peculiarità ambientali della Sacca, in particolare la bassa salinità delle acque. La semina e l’accrescimento del seme possono essere effettuate solo in vivai all’interno della Sacca di Scardovari e ogni pescatore predispone le reste in modo da avere una densità di 10–15 unità per metro quadro. Quando raggiunge i 5 cm viene raccolto manualmente e conferito agli impianti di depurazione di Scardovari, dove successivamente viene confezionato in sacchetto a rete di plastica, stoccato in cella ad una temperatura di 6°C e avviato alla spedizione in giornata, o al massimo il giorno seguente. Un lavoro molto impegnativo come capirà, specie nel periodo invernale, che noi affrontiamo con fierezza e serenità e la GDO non ci vuol riconoscere attraverso un prezzo equo».

Sta pagando questa scelta?

«I risultati sembrano promettenti. Non abbiamo ancora i dati definitivi 2021, ma l’anno scorso abbiamo venduto circa 1300 quintali di cozza DOP, mentre nel 2020, 900. È un risultato certamente incoraggiante, che lascia ben sperare per il futuro. Ma la strada è ancora lunga visto che la Sacca di Scardovari produce attorno ai 30.000 quintali di cozze, la gran parte quindi non a denominazione di origine protetta».

Al momento la produzione della cozza DOP è solo relativa al prodotto fresco in retìna?

«Abbiamo cominciato a produrre anche la Cozza DOP sottovuoto, per avvicinarci alle necessità del consumatore, che desidera, specialmente nel Nord Italia, avere un prodotto pratico da utilizzare in breve tempo. Una preparazione questa che ha anche l’indubbio vantaggio di aumentare la cosiddetta “shelf life” da 3 a 7 giorni».

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