La scelta per il futuro dei fratelli di Kioene

L’addio alla carne di Albino e Stefano Tonazzo è un segnale sulla sostenibilità dei modelli alimentari

Marco Panara

I Tonazzo si occupano di carne da quattro generazioni, prima come macellai e poi, con i fratelli Albino e Stefano, la quarta generazione oggi alla guida del gruppo, come industriali della carne. La quinta generazione non lo farà.
Il Gruppo Tonazzo ha due gambe, Com.Pa per la carne e Kioene per i prodotti a base di proteine vegetali, e su queste due gambe ha camminato negli ultimi trentacinque anni con Com.Pa che per i primi venticinque ha sostenuto il peso largamente maggiore e Kioene che negli ultimi dieci si è conquistata vigorosamente la scena. Dal 31 dicembre del 2024 i Tonazzo usciranno dalle carni e concentreranno tutte le risorse e le energie sulle proteine vegetali. Ci sono due elementi dietro una scelta così importante come quella di lasciare il settore che per più di un secolo è stato quello che ha fatto crescere e prosperare la famiglia: il rapporto dei fratelli Tonazzo con l’ambiente e quello con l’innovazione.
Kioene nasce da una intuizione che Albino Tonazzo ha nel 1988 quando, durante un viaggio di lavoro in Brasile, vede una fila sterminata di camion che portano la soia appena raccolta negli impianti nei quali verrà trattata prima di essere esportata in Europa per nutrire gli animali negli allevamenti. Pensa alla catena lunghissima che parte dalle colture di soia sui terreni sottratti alla foresta amazzonica per arrivare sotto forma di bistecca sui nostri piatti.

Tornato a casa studia, si informa e scopre che per fare una proteina di carne bovina ci vogliono ben 12 proteine vegetali e riflette sulla diseconomia di questo processo e sul suo peso sull’ambiente. Ci sono voluti poi 25 anni da allora perché i prodotti proteici a base vegetale venissero scoperti da fasce più ampie di consumatori e Kioene cominciasse ad affermarsi, ma l’ostinazione a perseguire quell’obiettivo per così tanto tempo, nonostante le delusioni e l’impegno economico, era legata alla considerazione che ha permeato l’intera azienda dello stretto rapporto che c’è tra l’alimentazione e l’ambiente da una parte, e tra l’alimentazione e la salute dall’altra.

La seconda componente è l’innovazione. La carne è un settore che più classico non si può, eppure i Tonazzo devono la loro fortuna alla loro capacità di innovare. Negli anni ’90 sono stati i primi a proporre al mercato i “tagli anatomici scompensati”. Fino ad allora si vendevano le “mezzene”: i più maturi di noi ricorderanno i camion frigoriferi davanti alle macellerie e una persona che portava sulle spalle la metà della carcassa dell’animale, poi erano i macellai a separarne i pezzi, con il problema di trovarsi la carne da bollito anche d’estate quando non si vende e d’inverno tagli più usati in altre stagioni. I Tonazzo hanno cambiato il mercato offrendo filetto a chi voleva il filetto e bollito a chi voleva il bollito, inserendo così nel prodotto il valore aggiunto dato dal servizio. È stata una non piccola rivoluzione del settore.
Dieci anni dopo sono sempre loro ad aprire un nuovo ciclo proponendo un hamburger di carne di qualità, cambiando la percezione di questo prodotto che fino ad allora era guardato con sospetto dalle mamme che ritenevano (probabilmente non a torto) che la carne già macinata fosse fatta con gli scarti. Proposero un hamburger di bistecca da tre etti, lo chiamarono Tony e fu un successo, anche perché insieme all’hamburger proposero un nuovo imballaggio sottovuoto che allunga la vita del prodotto sui banchi ed è quello oggi più diffuso.

Da dieci anni a questa parte la domanda continua di innovazione di Kioene in un comparto produttivo giovanissimo come quello dei prodotti proteici a base vegetale ha sopravanzato il potenziale di innovazione del settore della carne e di fatto segnato il sentimento del gruppo, ormai più votato alla nuova missione di quanto non sia attirato dalle certezze di quella vecchia. I numeri d’altra parte danno ragione. Nel 2014 Kioene fatturava 4,8 milioni, nel 2016 era a 16 milioni, nel 2018 superava i 30, nel 2024 andrà oltre 60 milioni con una crescita maggiore del 20% sull’anno precedente sia nel fatturato che nella profittabilità.
Nel 2016 fu decisa la costruzione di un nuovo stabilimento che è stato inaugurato nel 2020 e ora si sta lavorando a un ulteriore sviluppo perché Kioene dall’inizio del prossimo anno occuperà gli spazi che fino al 31 dicembre saranno ancora destinati dalla produzione di carne.
Kioene è già leader del mercato dei prodotti proteici gastronomici freschi a base vegetale in Italia e ha una presenza forte in Spagna e Portogallo.
Nel 2024 ha cominciato a muovere i primi passi in Germania, Francia e Regno Unito, dove il “classic vegan” (i prodotti proteici a base vegetale che non imitano la carne ma hanno il sapore dei vegetali con i quali sono fatti) che è quello nel quale Kioene è particolarmente competitivo, è di nicchia, ma in quella nicchia l’azienda di Villanova comincia a trovare il suo spazio con l’obiettivo di allargarla. Intanto l’attività della carne resterà nella storia della famiglia, il personale del settore in chiusura sarà stato integrato in Kioene, e se le previsioni di crescita saranno rispettate, il fatturato perduto nella carne sarà recuperato in due anni da quello delle proteine vegetali. La storia continua.
Il contesto nel quale avviene la scelta dei Tonazzo dà dei segnali per il futuro. Il modello alimentare che si è affermato nelle ultime due generazioni, al contrario delle epoche precedenti, è bastato sul consumo prevalente di proteine animali che l’industrializzazione del settore ha reso accessibili in termini di quantità e prezzo a larga parte della popolazione mondiale.

Oggi siamo 8 miliardi e per nutrirci alleviamo 92 miliardi di animali, nei prossimi trent’anni arriveremo a dieci miliardi e con l’aumento del benessere, se la tendenza resterà l’attuale, la domanda di proteine animali crescerà secondo le proiezioni più prudenti del 50% (secondo altre fino al 70%) ed è difficile immaginare come il pianeta possa reggere l’allevamento di 140 miliardi di animali e il conseguente consumo di suolo, di acqua e l’aumento delle emissioni climalteranti.

La consapevolezza di questo scenario e del fatto che la necessità di nutrire adeguatamente e in maniera sostenibile una tale massa di persone è una delle sfide chiave dei prossimi decenni è la ragione per la quale il mondo della finanza e anche le stesse multinazionali della carne stanno investendo nel settore delle proteine vegetali, nella fermentazione di precisione, nella carne coltivata, nell’agricoltura molecolare.
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