La settimana corta piace ai sindacati ma qualcuno dice no

Innovativo, all’avanguardia, un modello per tutti. Sono solo alcuni dei giudizi che stanno accompagnando in queste ore l’accordo integrativo di EssilorLuxottica, che introduce la settimana corta, a parità di stipendio e per venti settimane, all’interno delle linee produttive degli stabilimenti italiani.
Ma c’è anche chi come Maurizio Castro, tra i più noti esperti di relazioni industriali con un passato da direttore delle risorse umane di Electrolux, parla senza giri di parole di «modello rischioso, in quanto suprema espressione del paternalismo aziendale».
Radicalmente diversa invece la reazione del mondo sindacale: «Credo sia la dimostrazione che all’interno delle associazioni datoriali debba essere avviata una riflessione seria su come affrontare le sfide che il mercato del lavoro si trova ad affrontare», afferma Tiziana Basso, segretaria regionale della Cgil. E non è infatti un caso che l’annuncio arrivato giovedì da Agordo sia stato accolto con una certa freddezza dal mondo confindustriale, da dove Luxottica è uscita nel 2018.
«Come da tradizione Confindustria Belluno-Dolomiti non interviene sulle decisioni delle singole aziende», ha fatto sapere ieri la presidente Lorraine Berton.
Finora in Italia esiste un solo grande accordo per lavorare dal lunedì al giovedì e riguarda la maggiore banca (Intesa Sanpaolo). All’interno di Generali 3.500 dipendenti hanno potuto invece lavorare in smart working durante il mese di agosto. Ma con la fabbrica è un’altra cosa e, entrando nel merito dei contenuti dell’accordo, Castro ne sottolinea la sostanziale irripetibilità in altre realtà.
«Il risultato», aggiunge, «sarebbe l’inevitabile fuoriuscita dal mercato della stragrande maggioranza delle aziende della filiera. E sul lungo periodo potrebbe anche creare tensioni sociali per le disparità che crea tra i lavoratori della grande multinazionale, che hanno un buon contratto nazionale, aziendale, eccellenti assicurazioni sanitarie, e i lavoratori delle piccole aziende della valle a fianco. In più non mi sembra il risultato di una battaglia sindacale, ma semplicemente una generosa e graziosa concessione».
Diversa l’opinione di Daniele Marini, professore di Sociologia dei processi economici dell’università di Padova. «In una recente ricerca effettuata per Federmeccanica», spiega il docente e direttore scientifico di Community Research&Analysis, «alla domanda su quali fossero i luoghi di lavoro ideali, al primo posto è risultato l’ufficio pubblico, ma non tra i più giovani, e al secondo posto la casa. Con il Covid è cambiata l’idea del lavoro e l’accordo va nella direzione di cercare un equilibrio tra il tempo del lavoro e il tempo della vita. E per quanto riguarda il tema della politica del personale va a sanare disuguaglianze tra chi lavora in ufficio, e può far ricorso allo smart working, e chi lavora alle linee produttive».
E se da Confindustria non sono arrivare reazioni, al gruppo di Agordo è arrivato il plauso del mondo sindacale. «L’accordo ha il merito di mantenere il livello dei salari», spiega Tiziana Basso, «ma poi si concentra sul benessere dei lavoratori all’interno dell’azienda. E poi va ricordato che prevede la stabilizzazione di 1.500 lavoratori».
Sullo sfondo resta però un tema importante, ossia il rischio di allargare, rendendo incolmabile, la distanza tra Agordo ed il resto del mondo dell'occhialeria nel Bellunese, che potrebbe essere svuotato di lavoratori attirati dal welfare proposto dal colosso fondato da Leonardo Del Vecchio. «Ma gli studi ormai concordano che la riduzione dell’orario di lavoro giova ala produttività», aggiunge la segretaria regionale della Cgil.
«Luxottica è il modello lavorativo che vogliamo», dice Roberto Toigo, segretario della Uil Veneto, «l’azienda di Agordo è un modello lavorativo innovativo, sia in ambito normativo che in quello economico».
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