Le "fabbriche" dei principi attivi sono un pezzo del made in Italy e valgono quasi un decimo del mercato mondiale
La tradizionale propensione all'innovazione, combinata con un forte orientamento all'export. È il binomio che spiega il peso crescente assunto dalle aziende che forniscono principi attivi e componenti chimici per l'industria farmaceutica. Un comparto che negli ultimi mesi si è imposto all'attenzione generale per la visibilità generata dalla pandemia.
Meno 11% come performance complessiva e più 5,5% per il chimico-farmaceutico. Basta mettere a confronto i due dati sulle esportazioni, che emergono dal Bollettino socio-economico del Veneto e sono relativi ai primi nove mesi del 2020, per avere un'idea del trend che sta caratterizzando il settore, sempre più capace di imporsi sui mercati globali.
«L'export costituisce l'85% delle produzioni italiane, con l'Europa che conta per il 36% del totale», racconta Paolo Russolo, presidente di Aschimfarma, l'associazione nazionale dei produttori di principi attivi e intermedi per l'industria farmaceutica, che fa parte di Federchimica. Un'organizzazione che rappresenta 72 aziende e 109 siti produttivi con 11.900 addetti per un mercato complessivo pari a 3,7 miliardi (circa 9% del mercato mondiale).
Eccellenza nazionale
«L'Italia è un'eccellenza in questo settore sia a livello europeo che extra europeo e questo ci ha permesso di resistere alla concorrenza asiatica», analizza Russolo. «Infatti, in questi ultimi quindici anni, abbiamo subito la concorrenza di Cina e India, che hanno adottato politiche di prezzo spregiudicate e aggressive dovute principalmente a una regolamentazione meno stringente rispetto ai Paesi Ue, e all'Italia in particolare». Il riferimento è in particolare agli ambiti della protezione dell'ambiente e della salute dei cittadini. A Oriente la sensibilità su questi temi è molto meno marcata che da noi, anche se le distanze si stanno progressivamente riducendo.
«Ora anche in questi Paesi le autorità regolatorie stanno adottando, seppur lentamente, nuove misure di tutela, assistiamo alla chiusura di numerose aziende cinesi, cosa che sta provocando la carenza di alcuni starting materials per la produzione», spiega l'esperto. «A questa situazione si è aggiunto il problema del Covid-19 che ha limitato non solo l'attività produttiva di alcune aziende asiatiche, ma anche l'attività di export dalla Cina».
Tornando all'industria nazionale, un altro dei fattori di forza è dato dalla forte propensione all'innovazione, testimoniata da un investimento medio annuo del 3% in ricerca e sviluppo secondo le rilevazioni di Aschinfarma. «Il personale dedicato a questo ambito è più del doppio rispetto alla media manifatturiera», racconta il presidente dell'associazione. «Il costo del lavoro pro-capite supera del 50% la media manifatturiera, a dimostrazione della qualificazione e professionalità del personale».
Andamento anticiclico
A favorire il buon andamento del mercato è il fatto che si tratta di un settore anticiclico, in quanto produce beni essenziali per la salute pubblica e, inoltre, non è stato coinvolto da blocchi produttivi dovuti alla pandemia Covid-19.
«Così abbiamo mantenuto fede agli impegni presi con i nostri clienti: verso le aziende farmaceutiche nel fornire loro i principi attivi farmaceutici richiesti e verso i cittadini che hanno potuto acquistare i medicinali necessari», racconta Russolo.Al di là della congiuntura, guardando alle dinamiche demografiche, ci sono le condizioni per essere ottimisti sugli sviluppi futuri. «In Italia abbiamo tutte le risorse necessarie per continuare a crescere. Occorre, però, che dal punto di vista regolatorio (attività ispettiva, tempi autorizzativi, documentazione a supporto etc.) tutti i Paesi adottino le stesse regole», conclude. --
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