Le nuove frontiere del welfare per attirare talenti in azienda

«Dimmi che welfare mi offri e valuterò se venire a lavorare da te». Messa così forse è un po’ brutale, ma il welfare aziendale è diventato, nel volgere di pochi anni, un fattore di attrazione nella ricerca di talenti, ed un elemento che contribuisce alla loro permanenza in azienda. Dentro ci ricadono buoni pasto e assistenza sanitaria integrativa, ovviamente, ma le aziende più innovative vi inseriscono la settimana corta e lo smart working, il bonus psicologo e l’asilo nido.
Ma che cos’è il welfare aziendale? Parliamo di somme, beni, prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese, che hanno finalità di rilevanza sociale, e che sono esclusi, in tutto o in parte, dal reddito da lavoro. E se a queste ultime tre paroline aggiungiamo anche la «deducibilità», ecco che il vantaggio si riverbera anche sull’impresa, perché le spese relative all’erogazione di prestazioni di welfare, si possono dedurre dal reddito dell’impresa. Con dei limiti variabili, e forse questo è uno dei fattori di criticità, perché le modalità variano con la celerità con cui il Governo decide di metterci mano.
I campioni a nord est
Al di là dei “paletti”, il vantaggio è innegabile e può fare la differenza nella capacità di richiamare e trattenere le persone in azienda. Merito che le aziende hanno colto, come dimostra l’appeal crescente per lo strumento. Il Veneto sta in cima alla classifica: il 16% delle best practice italiane parla veneto. Una conferma arrivata dalla presentazione del Rapporto Welfare Index Pmi Veneto 2024, avvenuta a febbraio, promosso da Generali in collaborazione con Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni e Confcommercio.
«Il welfare aziendale fa bene all'impresa e fa crescere il Paese», aveva spiegato Barbara Lucini, responsabile Country Sustainability & Social Responsibility di Generali Italia. Welfare aziendale come leva competitiva e anche come azione di sostenibilità sociale. Nel primo caso perché, come detto, fa bene anche ai conti dell’impresa, e nel secondo perché interviene a soddisfare dei bisogni, del lavoratore e della sua famiglia.
I precursori, dall’Eni a Luxottica
Il Veneto ha 17 aziende Champions nel Rapporto, e quattro il Friuli Venezia Giulia, ma l’indagine ha messo in luce come, al pari del Veneto, in Fvg una quota significativa di Pmi abbia già raggiunto un livello alto o molto alto di welfare aziendale, il 27,8%, contro una media nazionale del 24,7%, mentre le imprese con un livello almeno medio sono il 77,1%, contro il 68,4% del totale Italia.
Ma chi sono le aziende che hanno “sposato” il welfare? Pur ricordando ovviamente il caso storico di Olivetti, si potrebbe azzardare a dire che il welfare si è affermato a Nord Est. Se parliamo di un welfare ante-litteram, non ancora codificato come tale, nella memoria comune ci sono ovviamente i casi di Luxottica o Zanussi.

Oppure l’Eni, che costruì un villaggio per i suoi dipendenti a Borca di Cadore (Belluno). Non dimenticando Torviscosa, paese nato dal nulla grazie alla chimica con le case assegnate ai dipendenti che diventavano di loro proprietà dopo un certo numero di anni di fedeltà aziendale.
Così come lo conosciamo oggi, il welfare aziendale nasce in Italia nel 2016, quando arrivano gli sgravi fiscali per le aziende che si dotino di piani ad hoc per i dipendenti, ma già prima, mutuando l’esperienza delle grandi multinazionali americane e i loro piani di fringe benefit, questa modalità aveva iniziato a venire praticata, anche se limitatamente ai livelli più elevati dell’organizzazione aziendale.
Antesignana è stata Luxottica che nel 2009 ha introdotto il proprio sistema di welfare. Oggi ancora più innovativo dato che ai beni e ai servizi, probabilmente prima tra le aziende di produzione, ha introdotto la settimana corta, al debutto sperimentale dal primo aprile. L’accordo - previsto dall’integrativo rinnovato nel 2023 - consiste in 20 settimane corte da 4 giorni nel corso dell’anno, con turni dal lunedì al giovedì, e a parità di stipendio. I dipendenti rinunciano a 5 giorni di permesso, mentre altri 15 sono a carico di Luxottica. «Abbiamo pensato di sperimentare un nuovo modello organizzativo che privilegia stabilità e continuità lavorativa, ma le coniuga con le necessità di flessibilità», aveva dichiarato Francesco Milleri, presidente e Ceo del gruppo.

Innovativa su questo fronte nel settore del credito è stata Intesa Sanpaolo. Smart working strutturale anche in Fincantieri che, sul fronte conciliazione, ha investito nella realizzazione di asili nido aziendali, il primo a Trieste nel 2022, il secondo a Monfalcone, oltre alle più consuete offerte di assistenza sanitaria integrativa, coperture assicurative e così via. In Electrolux welfare e sostegno alla genitorialità si sono intrecciati in un accordo che prevede, per i neo genitori, la possibilità di convertire parte del premio di risultato in congedi parentali aggiuntivi. Della serie: meglio più tempo libero che denaro. Pratic, che realizza tende e schermature solari, ampliando lo stabilimento ha trovato lo spazio per una palestra a disposizione dei collaboratori: una sala attrezzata con vetrate sulle colline friulane, con tanto di istruttore.
Piccole a ruota
Accade che quando le grandi imprese si muovono, le piccole seguono. Ed ecco che, trasversali ai settori, sono tante quelle che hanno seguito il buon esempio. Nel Rapporto di Generali si citano B+B International di Treviso, beanTech di Udine, Brovedani Group di Pordenone, la coop Dopo Di Noi, il gruppo aeroportuale Save, la Nep di Venezia. Hanno introdotto piani di welfare le Bcc, le multiutility, come Hera o Bluenergy, grandi imprese come Danieli e Stevanato.
Anche le micro imprese dell’artigianato e del commercio, grazie alla bilateralità, mettono anch’esse a disposizione dei propri dipendenti strumenti di welfare. Tra le “molle” della scelta c’è il vantaggio, forse non sempre misurabile, della percezione che il dipendente ha rispetto all’azienda in cui lavora, in termini di tranquillità, sicurezza, attenzione e riconoscimento del proprio valore, anche al di là del netto in busta paga.
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