Le produzioni green guadagnano terreno qualche caso virtuoso ma tanta strada da fare
Meglio della media nazionale, ma con molta strada ancora da percorrere per completare la transizione energetica. È la situazione del Triveneto sul fronte delle rinnovabili. «Il quadro è differenziato», spiega Luigi Mazzocchi, direttore del dipartimento di Tecnologie di Generazione e Materiali di Rse. «Il Trentino-Alto Adige è da sempre un forte esportatore di energia, grazie ai numerosi impianti idroelettrici, il Friuli Venezia Giulia è in sostanziale equilibrio fra produzione e consumo, mentre il Veneto importa circa la metà del proprio fabbisogno».
Per quest’ultimo vi è stata un’inversione di tendenza con il passaggio al nuovo secolo «a causa della minor produzione degli impianti a gas, legata al costo per molti anni elevato di questa fonte, ma soprattutto all’obsolescenza delle centrali esistenti a olio combustibile, a gas e a carbone. Facendo riferimento al 2019, ultimo anno per cui sono disponibili dati definitivi, le rinnovabili hanno pesato per il 62% della produzione elettrica contro il 39% italiano. «A fare la differenza la forte presenza dell’idroelettrico, che nel 2019 ha coperto il 45 % della produzione», aggiunge Mazzocchi.
Non è un caso se nelle ultime settimane la Regione Veneto ha accelerato sul progetto “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”, raccogliendo la convergenza altri atenei e di diverse aziende attive nel territoio. Per partire serviranno tra 2,5 e 4 miliardi di euro – provenienti in parte dal pubblico e in parte dal privato – utili a realizzare progetti come la riconversione green della raffineria di Eni e la scelta di puntare sull’idrogeno come carburante del futuro. L’evoluzione verso un modello turistico sostenibile, con l’idea di affidare la gestione e il contenimento dei flussi a una piattaforma digitale.
Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, sottolinea come questo approccio sia la via maestra per produrre valore sui territori. «Collaboriamo con la Regione nella parte relativa alla creazione di una Hydrogen Valley che coinvolga distretti e filiere industriali del Veneto a partire dall’area di Marghera», racconta. «Questo consentirà non solo un significativo abbattimento di C02 attraverso il consumo di energia pulita nei processi industriali, ma anche la creazione o riconversione di molte aziende in una supply chain per la produzione di idrogeno estremamente promettente anche per il futuro».
Per Fabio Fiorot, referente del progetto “Comunità energetiche” per Cna Veneto, il territorio è avanzato sul fronte della diffusione delle rinnovabili, ma esistono ampi margini di miglioramento, dato che dalla fine dei conti energia scarseggiano gli incentivi per l’installazione degli impianti per il comparto delle Pmi. «È urgente reincentivare in maniera convinta le Pmi», spiega, «l’installazione e i ritorni economici di medio lungo termine degli impianti fotovoltaici penalizzano le realtà di ridotte dimensioni».
Sull’idrogeno green (quindi prodotto da fonti rinnovabili) ci sono grandi aspettative. Su questo fronte punta con decisione la padovana Sit (multinazionale con oltre 2mila dipendenti), selezionata per far parte del progetto Hy4Heat, una gara internazionale per la creazione di un prototipo di contatore in grado di misurare con precisione il flusso di idrogeno. Un campo in cui ha già maturato una certa esperienza avendo sviluppato una valvola per un prototipo di caldaia a idrogeno, in collaborazione con Worcester Bosch.
Lo scorso anno l’azienda è entrata a far parte della European Clean Hydrogen Alliance, organizzazione che raggruppa a livello continentale imprese, associazioni, regolatori, enti pubblici e privati che, grazie alla spinta dell’idrogeno, possano contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Ue sulla neutralità del carbonio entro il 2050.
Ci crede molto anche la Danieli di Buttrio, che ha da poco siglato un accordo con Leonardo e Saipem per la fornitura congiunta di tecnologie e servizi volti a ridurre le emissioni di anidride carbonica del processo produttivo dell’acciaio. L’obiettivo è passare dagli altoforni a nuovo processo che utilizzerà forni ad alimentazione elettrica ibrida integrati a impianti di riduzione diretta del minerale di ferro per mezzo di una miscela di metano e idrogeno per ottenere un acciaio “verde”, con emissioni limitate di green house gas.
Le rinnovabili sono prioritarie per le utility del territorio, come emerge dagli ultimi piani industriali. È il caso di Agsm-Aim, che ha pianificato di destinare la totalità degli investimenti nel campo della generazione elettrica allo sviluppo delle rinnovabili.
Un grande impegno è stato messo in cantiere anche da Ascopiave, che da qui al 2024 realizzerà investimenti per 73 milioni di euro tra idroelettrico, eolico e fotovoltaico. Ovviamente non mancano molti altri casi di aziende di vari settori e dimensioni impegnati su questo fronte, consapevoli che l’energia green è destinata a mobilitare risorse ingenti negli anni a venire, complice la spinta normativa a livello nazionale e comunitario. —
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