[L’editoriale] Il settore del legnoarredo a Nordest: un “sentiment” tendente all’euforia
Non vi è dubbio che la combinazione tra pandemia e ripartenza spingerà al consolidamento. La pandemia conduce a scelte radicali le aziende finanziariamente più fragili. La ripartenza pretende capitali (sia per i volumi crescenti e sia per l’aumento dei costi di produzione). I processi di fusione e acquisizione stanno già accelerando, con vari modelli in campo

Se non fosse un inglesismo stucchevole, dovremmo dire che il sentiment è tendente all’euforia. Vale in genere per la manifattura, ma in special modo per l’industria del legno-arredo. Lo dicono tutti gli indicatori.
Quando Ursula von der Leyen include nel renovation plan dell’Unione europea 170 milioni di case che saranno oggetto di interventi tesi a migliorarne le prestazioni energetiche, indica un processo di 10 anni almeno. Un immenso cantiere in gran misura sospinto da incentivi statali, che si portano dietro anche le lavorazioni del legno, sia a fini edili che di arredo.
Ma è anche l’attitudine del consumatore, senza dubbio influenzata dalla traumatica esperienza della pandemia e della domestica reclusione, a essere drasticamente mutata e a motivare i budget delle imprese: il mercato nel suo insieme marcia a passo di corsa. Nel 2020 il giro d’affari complessivo è sceso del 9,1% a quota 39 miliardi (di cui 11 da export). Le previsioni per l’annata in corso promettono di recuperare le posizioni ante Covid. Le aziende più vitali sono anzi in crescita di 10-20 punti percentuali sul 2019.
Di questo comparto il Nordest è protagonista. Delle 71.500 aziende iscritte a Federlegno con i loro 307mila dipendenti, 22.500 sono posizionate nel Triveneto. Numeri grandi, per certi versi pure troppo. Perché tre quarti del totale appartengono alla classe di fatturato compresa tra 1 e 10 milioni di ricavi. Sempre a Nordest, secondo lo Studio Adacta, i 17 top player produttori di mobili realizzano il 40% dei ricavi del settore. Non per nulla il recente report dedicato al comparto dagli analisti di Mediobanca ne rileva la «insufficiente dimensione» delle imprese.
Non vi è dubbio che la combinazione tra pandemia e ripartenza spingerà al consolidamento. La pandemia conduce a scelte radicali le aziende finanziariamente più fragili. La ripartenza pretende capitali (sia per i volumi crescenti e sia per l’aumento dei costi di produzione). I processi di fusione e acquisizione stanno già accelerando, con vari modelli in campo. Il picco lo avevamo vissuto tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nel 2018, con 11 operazioni.
Ma la macchina sta ripartendo di slancio, anche coinvolgendo leader. A titolo di esempio, ricordiamo che un mese fa il fondo lussemburghese Aurora ha rilevato il 30% di Veneta Cucine. E i tre maggiori gruppi nazionali - Italian design brand, Design Holding, Italian Creation Group - tutti e tre ben presenti con aziende controllate a Nordest, stanno valutando nuove acquisizioni nell’alto di gamma.
Tanto dinamismo non elimina affatto le criticità. La prima consiste nella abnorme lievitazione dei prezzi delle materie prime. La seconda riguarda il drammatico ritardo nel progetto di tornare a coltivare boschi in Italia, riallestendo poi le segherie per le prime lavorazioni. La terza, cruciale, attiene al capitale umano e alla formazione. —
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