«Manager locali e ricerca, così la Carraro ha messo radici in India e Cina»
Intervista al presidente Enrico Carraro che spiega l’evoluzione del gruppo padovano nel Far East: «Plauso alla piena autosufficienza»
PADOVA. “Un plauso alla piena autosufficienza manageriale delle società del Gruppo Carraro in India e Cina, con dirigenti al 100% indiani e cinesi. Carraro India in particolare ha dimostrato ottime capacità di autonomia gestionale nella crisi del Covid che ha colpito il Paese”. Così il presidente Enrico Carraro, commentando i risultati 2020 e l’andamento 2021 in Asia, area cruciale nella strategia del Gruppo.
Buone le prospettive nella meccanizzazione agricola e per le costruzioni in India e in Cina, dove operano i principali produttori. Per il Gruppo l’India è il secondo mercato paese di destinazione (quota 14,8%) dopo l’Italia (18,6%), e il fatturato aggregato 2020 di Carraro India, che serve anche altri mercati, è stato di 111 milioni di euro (su un consolidato di 478 milioni). Mentre Carraro China ha raggiunto un fatturato aggregato di 47 milioni di euro, con il mercato domestico cinese che rappresenta il 5,3% delle vendite mondiali totali.
Presidente Carraro, l’India la conoscete bene. Un po’ di storia della vostra presenza?
“Siamo in India dal 1997, quando fummo tra le prime aziende internazionali a sbarcare nel Paese con una quota di maggioranza nella joint-venture con una società locale. L’accordo con Escorts, uno dei maggiori gruppi industriali indiani, portò alla creazione dell’impianto di Ranjangaon (Pune) che iniziò a produrre assali e trasmissioni nel 1999. Nel 2005 inaugurammo in zona una seconda unità per ingranaggi e componenti. Dal 2006 siamo proprietari al 100% di Carraro India, e abbiamo sviluppato il centro di ricerca e sviluppo di Carraro Technologies India e una nuova linea produttiva di trasmissioni evolute per trattori agricoli fino a 120 cavalli. Serviamo i grandi produttori di macchine nel Paese, sia agricole sia movimento terra e costruzioni, e anche altri mercati. I clienti in India sono gruppi occidentali e indiani come CNH, Caterpillar, John Deere, Mahindra&Mahindra, Escorts, etc.”.
Come avete vissuto la crisi Covid in India?
“È stata pesante umanamente, anche perché l’India non ha un servizio sanitario in grado di assicurare cure di qualità a tutti i pazienti. Ed economicamente, per gli inevitabili blocchi e rallentamenti delle attività. Purtroppo nell’ondata di questa primavera ci sono state sei vittime tra i nostri dipendenti e abbiamo fermato gli impianti per un certo periodo. Ma a luglio 2021, grazie al nostro management indiano, abbiamo trasformato la sede di Pune in un centro autorizzato di vaccinazione aziendale e nell'arco di una settimana tutti i dipendenti di Carraro India, che sono oltre 1500, sono stati vaccinati gratuitamente. Occorre veramente ringraziare tutto il team, un management in grado di affrontare efficacemente in autonomia una crisi difficilissima. Se una situazione del genere fosse accaduta alcuni anni fa, quando la gestione della società indiana dipendeva molto di più da Campodarsego, sarebbe stato più difficile”.
Come sta andando la ripresa in India?
“Si è nella fase calante del picco Covid quindi la tensione è diminuita. Le prospettive sono buone sia per le costruzioni vista la continua crescita dell'urbanizzazione, sia per l’agricoltura dove il processo di meccanizzazione procede e sono aumentate le imprese strutturate che fanno investimenti tecnologici di un certo tipo. Buona la ripresa del mercato trattori da fine 2020, in particolare cresce la diffusione dei mezzi a 4 ruote motrici per i quali siamo il leader mondiale. Il settore costruzioni ha subito di più gli effetti della seconda ondata pandemica, ma nei prossimi mesi gli importanti investimenti previsti in grandi opere infrastrutturali del Paese dovrebbero aumentare la domanda”.
L’India industriale è in movimento?
Il processo di recente industrializzazione ha sicuramente fatto passi rilevanti in tanti settori, anche grazie a grandi basi ingegneristiche nel Paese, con università e centri di ricerca. Ma globalmente non si arriva alla velocità di sviluppo della Cina”.
Cina: come siete presenti nell’altro gigante asiatico?
“Ci siamo dal 2005 con uno stabilimento con 200 dipendenti a Qingdao, nel Nord. Fatturato aggregato 2020 di 47 milioni di euro, producendo sistemi di trasmissione per macchine movimento terra e trattori. Clienti sono i principali player OEM cinesi (YTO, XCMG, Chanhlin, Liugong, Zoomlion, Daedong), e altri gruppi internazionali in vari Paesi. Il mercato cinese è più complesso di quello indiano, anche perché quando siamo arrivati c’era un livello tecnologico meno avanzato soprattutto in agricoltura e tanta frammentazione con molti produttori di trattori nati con le liberalizzazioni del settore. Ma sono in corso aggregazioni e stanno emergendo i leader dei prossimi anni. Buono il trend delle macchine agricole, seppure sotto il potenziale perché il mercato dipende molto dai sussidi pubblici. Cresce anche il mercato costruzioni, grazie al perdurare dei grandi investimenti infrastrutturali pubblici: molto forte la richiesta di escavatori cingolati. La Cina è tornata ad essere il primo mercato al mondo per le macchine da costruzione, oltre il 30% dei volumi mondiali”.
Aumento prezzi e ritardi di forniture anche nelle supply chain cinesi e indiane?
“Le dinamiche sono identiche a quelle globali, anche se almeno nella logistica interna si evita il problema dei trasporti marittimi. Va sottolineato che sia in Cina sia in India abbiamo una buonissima base di fornitori locali, a partire dalle fonderie, e stiamo aiutando la filiera a crescere. Del resto nella nostra strategia internazionale non siamo mai andati a cercare manodopera a basso costo, ma ci siamo sempre mossi in una logica local for local, per seguire i nostri clienti in diverse aree del mondo e sviluppare in loco i prodotti adatti ai vari mercati”
Oltre ad Europa e Asia, siete presenti nel continente americano. Come va?
“Bene il Nord America, stabile e in netta crescita. Inoltre gli Stati Uniti, assieme all’Europa, sono un mercato anche per i trattori per vigneti e frutteti della Divisione Agritalia che produciamo a Rovigo a marchio John Deere, Massey Ferguson e Claas, in aggiunta alla nostra gamma specialistica Carraro Tractors. Più difficile invece in Sud America. Lo stabilimento storico in Argentina funziona bene, ma abbiamo dovuto ridimensionarlo su volumi più contenuti, perché il mercato sudamericano è molto volatile, e inoltre il Covid ha duramente colpito il Brasile”.
Altre grandi aree di sviluppo in prospettiva?
“L’Africa, dove per ora non siamo presenti perché non c'è ancora una produzione importante di trattori. Ma ha un futuro, e noi ci localizziamo seguendo i nostri clienti. Probabilmente saranno i cinesi, perché in molti Paesi africani vari settori tra cui l'agricoltura sono sempre più in mano cinese. E poi ci sarebbe l’area Russia-CIS: ma sinora per la costruzione di macchine agricole e costruzioni non è un mercato con player di settore tali da svilupparvi una presenza industriale locale”.
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