Nel regno dell’Amarone, il fatturato di Tenuta Sant’Antonio arriva a 10 milioni (+24%)

Un anno di primati per l’azienda veronese grazie a 1,5 milioni di euro investiti per interventi di riqualificazione. Il vino simbolo premiato fra i 100 migliori d’Italia

VERONA. È un giglio il vino più importante di Tenuta Sant’Antonio. Il fiore simbolo di Sant’Antonio è stato scelto infatti per il nome dell’Amarone, il migliore in assoluto secondo la guida I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia.

Un anno di primati, per i fratelli Castegnedi, titolari di Tenuta Sant’Antonio, che hanno investito 1,5 milioni per migliorare la tenuta e si apprestano a superare i dieci milioni di euro di fatturato, con un +24% sull’anno precedente.

La famiglia dal 1995 ad oggi ha messo in piedi una delle più solide e brillanti realtà enologiche del panorama veronese pur lavorando “controvento”. Hanno dovuto letteralmente partire da zero per attrezzare una collina sui Monti Garbi, tra Mezzane e Marcellise, con strade, acqua ed elettricità, per lavorare i terreni e per produrre ottime uve. Infine, hanno dovuto smentire le ironie di chi diceva loro che a Colognola ai Colli, dove hanno sede, non si poteva fare un grande Valpolicella.

«Ma noi – racconta Armando Castagnedi – viviamo in Val d’Illasi dove una collina è terra di Valpolicella e l’altra di Soave. Noi abbiamo deciso di produrre e vendere entrambi ed il tempo ci ha dato ragione. Del resto, il successo di un mito come Dal Forno ha dimostrato che qui si può fare anche Amarone di grande qualità, altro che terra di nessuno».

Infatti, i Castagnedi stanno andando forte, dividendosi da buoni fratelli i compiti. Armando si occupa soprattutto di gestione e mercati esteri, che valgono il 70% del loro fatturato; Tiziano di logistica e mercato nazionale; Paolo è l’enologo che ama stare in cantina; Massimo, infine, l’agronomo che cura la campagna e la produzione. 

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