Pagani: «Germania e Trump le spade di Damocle che minacciano le nostre imprese»

L’analisi dell’ex dirigente al ministero dell’Economia: «La vera incognita è quella che riguarda il commercio internazionale»

Giorgio Barbieri
Fabrizio Pagani
Fabrizio Pagani

«La Banca d’Italia ha abbassato le stime di crescita per l’Italia, con un inizio di 2025 all’insegna della debolezza. La congiuntura sta registrando una flessione in particolare della manifattura e questo avrà un impatto negativo sulla crescita del prossimo anno, che potrebbe essere ulteriormente frenata in caso di guerra dei dazi».

Ne è convinto Fabrizio Pagani, presidente della Fondazione “Minima Moralia”, docente a SciencesPo, università di studi politici ed economici con sede a Parigi, e con un passato a Capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia, che si dice d’accordo con la preoccupazione espressa dal presidente di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, sul futuro dell’economia del territorio.

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La redazione

Dalle tensioni geopolitiche in Europa e Medio Oriente alle prospettive dei dazi di Donald Trump. Quali sono gli senari per il 2025?

«Il Pil italiano riuscirà a restare in segno positivo anche nel 2025, grazie soprattutto all’apporto del Pnrr che compensa gli effetti della fine degli incentivi all’edilizia. La vera incognita è quella che riguarda il commercio internazionale e i segnali non sembrano essere incoraggianti».

A quali fa riferimento?

«Da una parte le esportazioni all’interno dell’Unione europea che inevitabilmente risentono delle difficoltà dell’economia tedesca, dall’altra c’è la spada di Damocle dei dazi che potrebbero essere introdotti dalla nuova amministrazione americana e che introdurrebbero un ulteriore elemento di volatilità».

Non è però sicuro che siano introdotti anche contro beni europei.

«Ma gli effetti si sentirebbero comunque. Perché nel caso colpissero solamente la Cina, per fare un esempio, sull’Europa si potrebbe riversare un importante flusso di beni cinesi».

Tuttavia ci sono segnali sulla volontà di mettere fine alle tensioni geopolitiche. Quali potrebbero essere gli effetti per la nostra economia?

«È ancora presto per dirlo, ma è innegabile che il processo di ricostruzione dell’Ucraina sarà compito, anche finanziario, degli Europei e le nostre imprese potranno svolgere un ruolo importante. Vi sarebbe inoltre un importante effetto psicologico positivo».

In questo quadro si inseriscono le preoccupazioni per il Green Deal europeo. Crede che la nuova Commissione rivedrà i tempi?

«Sono convinto sia nell’interesse dell’Europa superare i carburanti fossili dato che siamo gli unici a non averne. Il Green Deal deve proseguire, ma deve essere interpretato attraverso il prisma di innovazione, investimenti e crescita. In questo senso i Rapporti presentati da Mario Draghi e da Enrico Letta forniscono indicazioni imprescindibili».

Ma questa Europa ha la forza politica per realizzarli?

«Se si parla di debito comune, la Commissione sta emettendo titoli europei per finanziare i diversi Pnrr nazionali, ma anche l’assistenza macroeconomica all’Ucraina e altre misure. Il prossimo settore potrebbe essere quello del finanziamento della difesa, come auspicato dai ministri degli Esteri dei principali Paesi europei, tra cui l’Italia».

Veniamo all’Italia. Il governo sta approvando, non senza fatica, la legge di Bilancio. È una misura che va nella giusta direzione per quanto riguarda il sostegno alle imprese?

«Ha indubbiamente avuto il merito di tenere la barra dritta sul fronte della stabilità dei conti pubblici. Tuttavia si poteva certamente fare di più per quanto riguarda il sostegno alle imprese. È necessario semplificare Transizione 5.0, che rappresenta una spinta per gli investimenti come lo era stata Industria 4.0, il piano che ha permesso all’industria italiana di fare bene in questi anni».

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