Pavin: «L’Europa cambi rotta è la grande malata Serve unità e decisione»
«L’Europa è il grande malato, dobbiamo reagire per salvarci». Nel cuore del sistema manifatturiero del Nord Est, Massimo Pavin, presidente della Sirmax - sarà uno dei relatori dell’evento Top 500 Padova di giovedì 21, dedicato a come “reagire al grande caos” - azienda leader nella produzione di compound termoplastici, traccia un quadro chiaro e preoccupante
«L’Europa è il grande malato, dobbiamo reagire per salvarci». Nel cuore del sistema manifatturiero del Nord Est, Massimo Pavin, presidente della Sirmax - sarà uno dei relatori dell’evento Top 500 Padova di giovedì 21, dedicato a come “reagire al grande caos” - azienda leader nella produzione di compound termoplastici, traccia un quadro chiaro e preoccupante.
Pavin, come vede oggi lo stato dell’economia manifatturiera a livello globale?
«È evidente che la manifattura, specialmente quella legata ai beni durevoli, sta attraversando un momento difficile in gran parte dell’Occidente. Da inizio 2022 abbiamo assistito a un’impennata delle materie prime e a un’inflazione crescente. Le politiche monetarie restrittive adottate per contrastare l'inflazione hanno provocato una riduzione della produzione industriale sia negli Stati Uniti che in Europa. Mentre l’India sembra destinata a diventare la nuova Cina, con una crescita sostenuta soprattutto nel mercato interno, il Brasile, dopo il periodo elettorale, mostra segnali positivi. Il grande malato è l’Europa, con una domanda di beni durevoli ai minimi storici e una politica economica che ci è costata molto in termini di oneri finanziari e di stop agli investimenti».
«L’Europa è intrappolata in una serie di problemi strutturali. La Germania, il motore industriale del continente, ha rallentato significativamente a causa della sua dipendenza dal gas russo e dalle esportazioni verso la Cina. Soffriremo ancora nel 2025, e sarà cruciale vedere se la Commissione Europea saprà implementare politiche in grado di proteggerci e di incentivare l’innovazione, soprattutto dal punto di vista ambientale e della sicurezza sul lavoro. Serve anche una regolamentazione più stringente per le merci e i prodotti finiti che entrano nel nostro mercato: non possiamo permettere che l'Europa diventi un campo da gioco dove gli altri competono senza seguire le regole».
Parliamo di politica commerciale. Come giudica le politiche protezionistiche adottate dagli Stati Uniti?
«La strategia degli Stati Uniti è chiara: riportare la manifattura nel Paese e proteggere il mercato interno. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, ci aspettiamo misure ancora più dirompenti: uscita dal Patto di Parigi, dazi sulle importazioni e una maggiore chiusura verso il commercio globale. Questo potrebbe portare a una crisi nel breve termine, ma per aziende come Sirmax, già presenti nel Nord America, potrebbe rappresentare un'opportunità. Il "back to manufacturing" degli Stati Uniti potrebbe ridare forza alla classe media».
E in Europa? Cosa dovrebbe cambiare?
«L'Europa ha bisogno di una politica unitaria e di una vera unione fiscale. Non possiamo più permetterci paradisi fiscali come l’Olanda e politiche frammentate. La frammentazione politica e la litigiosità tra i paesi stanno indebolendo il nostro sistema economico. Abbiamo visto cosa è successo con l’energia. E vediamo quanto l’industria europea stia soffrendo enormemente con il rischio, senza le giuste politiche, di perdere interi settori produttivi, come è già accaduto parzialmente con la delocalizzazione della produzione di elettrodomestici e automotive verso Paesi con costi più bassi».
Qual è la strategia di Sirmax per affrontare questo contesto così incerto?
«La nostra strategia è diversificare il più possibile: per area geografica e per prodotto. Non tutto può andare bene ovunque, ma abbiamo costruito un modello che ci permette di compensare le difficoltà di un mercato con le opportunità di un altro. Abbiamo fatto scelte che ci consentono di continuare a crescere, senza compromettere il futuro dell'azienda e delle generazioni successive».
È pessimista per il futuro?
«Più che pessimismo, è una constatazione. Se l’Europa non trova un modo per agire con decisione e unità, rischiamo il collasso di interi settori industriali. Guardiamo alla crisi dell'automotive in Germania: se crolla questo settore, le conseguenze saranno devastanti per tutta l'economia europea».
Qual è il messaggio che va lanciato?
«La politica industriale europea deve cambiare rotta, smettere di essere subordinata agli interessi di singoli Stati o settori. Dobbiamo avere una visione di lungo periodo, con una politica che tuteli l'industria manifatturiera, investa in innovazione e garantisca una concorrenza leale. Non si può giocare a calcio con una squadra che può usare anche le mani: serve equità nelle regole del gioco».
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