Petrone, Ad della trevigiana Aliplast (Gruppo Hera): «Comparto plastica in difficoltà per i regolamenti europei»
Il manager: «Abbiamo in corso due importanti investimenti a Modena e a Novara dove installeremo nuova capacità per raggiungere una produzione di oltre 180.000 tonnellate nel 2027»
«È da poco terminato il Plastic Recyclers Annual Meeting a Cascais in Portogallo. E le previsioni indicano una persistente incertezza per le aziende del settore fino al 2030. La verità è che in Europa potremmo rimanere soffocati da leggi e regolamenti mentre assistiamo ad un import sempre più significativo con il rischio della perdita di un’importante quota di capacità e impianti». Ne è convinto Michele Petrone, dallo scorso mese di aprile amministratore delegato della trevigiana Aliplast di Ospedaletto di Istrana, società del gruppo Hera tra i leader europei nel settore della plastica rigenerata con una capacità di recupero di oltre 100.000 tonnellate di polimero all’anno.
I numeri indicano un trend preoccupante. Non sta frenando solo la produzione di plastica vergine, ma anche di quella riciclata. Cosa significa?
«Questi numeri vanno analizzati con attenzione. Il fatto che si produca meno plastica vergine è un dato che può essere letto positivamente se fosse un effetto non solo europeo. È invece molto negativo quello legato alla plastica riciclata. In Europa abbiamo infatti una filiera importante che conta 13 milioni di tonnellate di capacità istallata di riciclo, 850 società che occupano oltre trentamila persone. Aumentano quindi le importazioni di materia prima vergine dagli Stati Uniti e dal Far East e quelle di materiale “riciclato” dalla Cina, dalla Turchia, dall’Africa. Queste ultime, in attesa delle prescrizioni incluse nel PPWR, non richiedono ad oggi particolari certificazioni circa l’origine e il trattamento».
E perché avviene?
«Fondamentalmente per due motivi: si tratta di Paesi che hanno capacità produttive ingenti e a basso costo. Quella plastica riciclata può arrivare a costare anche oltre il 30 per cento in meno rispetto a quella prodotta in Europa. Ma nel caso delle importazioni non ci sono sicurezze su alcuni aspetti fondamentali, in primis le modalità di raccolta. In Europa abbiamo un sistema ormai avanzato, la stessa cosa non si può dire di altre realtà».
E i regolamenti europei non sembrano aiutare le nostre imprese che in Italia rappresentano una quota importante del settore.
«A Nord Est sono presenti 26 impianti di riciclo meccanico, 32 sono nel Nord Ovest, 7 in Centro Italia e 19 nel Sud e nelle Isole. Il regolamento imballaggi che è stato da poco approvato dall’Unione europea, ad esempio, sarà determinante, fondamentale ora è lavorare al contenuto degli atti delegati. L’applicazione poi del regolamento e i controlli che saranno posti in essere porteranno effetti positivi sul settore, ma occorre attendere ancora qualche anno».
Aliplast come sta affrontando questa fase di difficoltà del settore?
«Come azienda siamo presenti in tutta Italia e in particolare in Veneto, in Piemonte, in Emilia-Romagna e in Umbria con i nostri siti produttivi. Siamo poi presenti in Spagna, Francia e Polonia coprendo sostanzialmente tutta l’Europa. Abbiamo in corso due importanti investimenti a Modena e a Novara dove installeremo nuova capacità per raggiungere una produzione di oltre 180.000 tonnellate nel 2027. Si tratta di progetti che rafforzano il nostro parco impiantistico e darà un ulteriore impulso al contributo che il Gruppo Hera fornisce all’industria italiana del riciclo».
Non ritiene che ci sia il rischio che l’Europa rischi di non raggiungere i suoi obiettivi per quanto riguarda il Green Deal?
«Le leggi e i regolamenti europei devono essere un fattore abilitante per l’industria, non un limite e tantomeno devono portare ad una lotta impari: oggi competiamo in un mercato globale per effetto dell’importazione sempre più significativa dai Paesi extra UE che non hanno gli stessi nostri standard. Servono misure opportune per sostenere il settore e servono ora. Una risposta, che potrebbe portare ad un incremento di competitività, potrebbe essere quella di adottare i cosiddetti certificati di riciclo ossia la valorizzazione economica delle mancate emissioni di CO2 derivanti in questo caso dal riciclo meccanico. Una misura quella dei certificati già in atto in altri settori pertanto conosciuta e riconosciuta, promossa anche dalle associazioni di categoria quali Utilitalia e Assorimap».
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