Plastica, export in frenata e si ferma anche la riciclata

Trend confermato anche a Nord Est dove il Veneto rappresenta la seconda regione per esportazioni. Il rischio per il settore è quello di dipendere sempre più dall’estero e in particolare da Stati Uniti, Medio Oriente e Cina

Giorgio Barbieri

Si fa sempre più ampio il gap tra le plastiche prodotte a livello mondiale, che mostra un trend di crescita, e quelle a livello europeo, che al contrario sono in costante flessione: le prime sono passate l’anno scorso da 400 a 413 milioni di tonnellate (+3,4%), mentre le seconde sono scese da quasi 59 milioni a 54 milioni di tonnellate (di cui 42,9 vergini), con un calo dell’8,3% in un anno.

Ma questo non è neanche l’elemento più preoccupante, perché per la prima volta infatti è diminuita anche la quantità di plastica riciclata da post-consumo a livello europeo, passata da 7,7 a 7,1 milioni di tonnellate (-7,8%). Una sofferenza che, se dovesse proseguire, ci obbligherà a dipendere dall’estero: soprattutto da Usa, Medio Oriente e Cina. Ma è un tema che non riguarda solo la competitività, ma che mette a rischio anche il Green Deal dell’Europa.

i dati sono contenuti nell’ultima edizione di “Plastics – the fast Facts 2024”, la nota sull’andamento del settore pubblicata ogni anno dall’associazione dei produttori europei di materie plastiche, PlasticsEurope. Le esportazioni di plastiche sono diminuite del -25,4% tra il 2020 e il 2023 e così, pur mantenendo ancora un saldo commerciale positivo in termini di valore, l’Europa è diventato un importatore netto di plastiche e di prodotti finiti in plastica. Si tratta di un trend che inizia a trovare conferme anche a Nord Est, dove il Veneto rappresenta la seconda regione italiana per quantità di esportazioni, dietro alla sola Lombardia, e il Friuli Venezia Giulia la quinta regione alle spalle di Piemonte ed Emilia Romagna.

Secondo l’Osservatorio economico del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale relativo all’interscambio commerciale italiano nel settore delle materie plastiche, nei primi tre mesi del 2024 in Veneto si è registrato un calo delle esportazioni (passate da 662 a 637 milioni di euro) a fronte di un leggero aumento delle importazioni (da 366 a 368 milioni di euro). Ancora più sensibile il fenomeno in Emilia Romagna dove le esportazioni sono calate da 443 a 422 milioni di euro, con importazioni cresciute nello stesso periodo da 295 a 301 milioni di euro. Il Friuli Venezia Giulia ha invece registrato 173 milioni di euro di esportazioni (erano 201 nello stesso periodo del 2023) e 77 milioni di importazioni (erano stati 80 l’anno prima).

Si tratta di un importante campanello d’allarme, come aveva spiegato anche Massimo Pavin, presidente della multinazionale Sirmax di Cittadella, nel corso dell’evento “Top 500 Padova”, che mette anche a rischio gli obiettivi relativi alla transizione verde. Analisi confermata anche da dai numeri contenui nella relazione “Plastics – the fast Facts 2024”. «La transizione dell’Unione europea verso un sistema circolare è in grave pericolo a causa delle importazioni di plastiche che non sempre rispettano i nostri standard», ha spiegato Marco ten Bruggencate, presidente di Plastics Europe, «la dura realtà è che assistiamo già alla chiusura di impianti produttivi nell’Unione europea con la conseguente delocalizzazione dell’industria, dei posti di lavoro e degli investimenti sostenibili».

Secondo il presidente dei produttori europei di plastiche: «La transizione verso la circolarità avrà successo solo se i decisori politici implementeranno urgentemente le condizioni necessarie per recuperare competitività e offrire una prospettiva a lungo termine per gli investimenti nella circolarità. La finestra di opportunità è stretta e il momento per agire con decisione è adesso». In Europa il comparto dà lavoro a oltre 1,5 milioni di persone in 51.700 aziende, che l’anno scorso hanno generato circa 365 miliardi di euro di fatturato, ma ci sono segnali di sofferenza sempre più acuti, che indicano una crescente dipendenza dall’estero, in particolare da Stati Uniti, Medio Oriente e Cina, dove i costi produttivi sono molto inferiori (nei primi due casi anche per la possibilità di usare idrocarburi “fatti in casa”) e ci sono impianti di grandi, talvolta enormi dimensioni, che consentono forti economie di scala.

E per la prima volta da almeno sei anni anche la produzione di plastica secondaria ha messo la marcia indietro, con un crollo del 7,8% (a 7,1 milioni di tonnellate) per quella riciclata con sistemi meccanici, che sono tuttora di gran lunga i più diffusi. La produzione di plastica da riciclo chimico resta minima – appena 120 mila tonnellate nel 2023 – e anche le bioplastiche sono ancora marginali, benché in aumento da 700 a 800 mila tonnellate. L’Europa tuttavia continua a vantare uno dei maggiori tassi di circolarità nel mondo, con il 14,8% della produzione da riciclo, ma «l’incremento dello 0,7% dal 2022», avverte Plastics Europe, «indica una decelerazione ed è inferiore alla crescita richiesta per soddisfare le ambizioni della Plastics Transition roadmap». Le speranze del settore sono riposte sul rapporto elaborato dall’ex presidente del Conglio Mario Draghi sul futuro della competitività europea che riconosce il «potenziale non sfruttato per la circolarità» e la sua valutazione secondo cui «il riciclaggio della plastica non ha al momento un caso aziendale forte». Riconosce inoltre che mentre una regolamentazione efficace è essenziale, non è una panacea e che l’Europa deve perseguire un approccio più olistico per affrontare i problemi di competitività che devono affrontare la plastica e altre industrie.

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