Prezzi giù e dumping cinese: l’acciaio non vede la ripresa
Dopo un 2024 difficile la siderurgia, settore cruciale per l’industria italiana, fatica a rivedere una ripartenza anche per il prossimo anno. Le imprese hanno attinto alle riserve per rinnovare gli impianti ma la sovracapacità produttiva in Asia è ancora cresciuta
Nessuna prospettiva di ripresa a breve termine della domanda di acciaio in Italia e in Europa. Al massimo gli operatori nutrono qualche speranza di inversione entro fine 2025. Così, dopo l’ottimo biennio 2021-2022, il biennio 2023-2024 si chiuderà male per la siderurgia nazionale. Non solo con volumi e fatturati in prolungata contrazione. Ma anche con un forte calo della redditività.
L’osservatorio di settore Siderweb, che ha recentemente presentato l’edizione 2024 dell’analisi Bilanci d’Acciaio su oltre 5.000 aziende italiane di tutti i segmenti della filiera, ha registrato che la percentuale di imprese in perdita è aumentata dal 4% del 2022 a oltre il 10% del 2023.
I principali indicatori reddituali aggregati di settore sono stati tutti molto negativi l’anno scorso: fatturato meno 15% rispetto a un anno prima, meno 30,9% il margine operativo lordo (ebitda), utile meno 44,7%, valore aggiunto meno 18,7% (e i dati non comprendono il bilancio di Acciaierie d’Italia - ex Ilva, non reperibile alla data di elaborazione dei risultati).
Ricavi e redditività in peggioramento
In compenso, a fronte di conti economici che spesso piangono a causa della maggiore incidenza del costo dei fattori produttivi (energia in testa, in Italia la più cara dell’Ue) sui ricavi in contrazione, la solidità patrimoniale delle imprese siderurgiche italiane ha generalmente tenuto. Gli analisti hanno infatti riscontrato una riduzione significativa dell’indebitamento e un aumento di liquidità e investimenti, con molte aziende che nel 2023 si sono autofinanziate attingendo agli elevati redditi realizzati nel 2022.
Ma nel 2024 la situazione di ricavi e redditività è in ulteriore peggioramento. La produzione siderurgica nazionale è calata del 4,7% nei primi dieci mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023 e dell’8,1% del 2022 (dati Federacciai). E il trend negativo proseguirà nel 2025, secondo un’indagine Siderweb, con probabili effetti di deterioramento anche sugli aspetti patrimoniali di molte imprese. Nel frattempo tre quarti di quelle interpellate si attende di chiudere il 2024 con contrazioni di fatturato, ebitda e risultato economico. Mentre un quinto considera il costo dell’energia il principale fattore di criticità.
Gli investimenti intanto si concentrano su rinnovi e ammodernamenti degli impianti. Non certo su ampliamenti. Differenza notevole a confronto di quanto invece avviene extra Europa, soprattutto in Asia. L’eccesso di capacità produttiva siderurgica mondale rispetto alla richiesta di acciaio salirà infatti a 630 milioni di tonnellate nel 2026, il livello più alto dal 2016, secondo il Global Forum on Steel Excess Capacity.
Il problema è la domanda
Il problema principale in Italia e in Europa è la domanda. Gli operatori non vedono la luce della ripresa. La calma piatta del mercato e i prezzi tendenti al ribasso non lasciano presagire nulla di buono almeno per la prima metà dell’anno prossimo. La sensazione è pienamente confermata nel Nord Est. Dove, occorre sottolineare, Veneto (fatturato complessivo della filiera di 12,1 miliardi di euro) e il Friuli Venezia Giulia (5,8 miliardi) sono rispettivamente la seconda e la quarta regione siderurgica d’Italia.
«È un momento di grandissima debolezza con una crisi trasversale in un po' tutti i settori di consumo», commenta Paolo Sangoi, presidente di Assofermet Acciai e del centro servizi Sangoi, con sede a Tarcento (Udine). «Solo la domanda per componenti di impianti di energie rinnovabili sta tenendo, ma è troppo poco. In Europa circa il 60% di acciaio viene utilizzato tra edilizia, automotive e bianco. Tutti mercati in crisi, con la sola parziale eccezione della richiesta di metallo per le grandi opere. E purtroppo – prosegue Sangoi – non si riescono a intravedere possibili recuperi, quantomeno nel breve-medio periodo. Nell’automotive e nell’elettrodomestico il grosso dei volumi viene fatto su programmi di produzione di lungo termine. Quindi male. E anche la domanda per la meccanica, per esempio per la fabbricazione di macchinari industriali, è rallentata».
Indicatore di ciclo economico
Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi sottolinea come l’acciaio sia un indicatore di ciclo economico. E che pertanto i segnali negativi che da oltre un anno arrivano dalla siderurgia hanno anticipato la situazione difficile in cui si trova oggi gran parte della manifattura europea. «I prodotti piani in particolare soffrono la forte contrazione di auto ed elettrodomestici. E il rallentamento della Germania in tutti i comparti della meccanica e nell’automotive colpisce molto noi italiani che siamo i primi subfornitori dei tedeschi».
Gozzi rimarca il problema del costo del denaro: «La domanda d'acciaio è soprattutto una domanda da investimenti. I due terzi dei consumi non arrivano da auto e bianco, ma dall’edilizia e dalla costruzione di capannoni, navi, treni, macchine movimento terra, e così via. In tal senso, gli investimenti non sono stati agevolati in questi ultimi anni dai tassi di interesse elevati, a causa delle politiche anti inflazionistiche. Anche se sicuramente il Pnrr ha aiutato a ridurre la contrazione dei consumi. Dalla fine del ciclo alto dell’edilizia – precisa Gozzi – sono invece penalizzati innanzitutto i prodotti lunghi. Che però, rispetto ai piani, sono meno esposti alla concorrenza dell’Asia, spesso in dumping, perché hanno gamme di formati molto variabili che rende più difficile nel nostro mercato la diffusione dell’offerta dei competitor stranieri».
Un qualche timido segnale di ripresa della domanda lo percepisce infine Barbara Beltrame Giacomello, vicepresidente di AFV Beltrame Group, intervenuta all’evento Bilanci di Acciaio 2024. «Ma per vedere numeri decenti occorrerà aspettare la metà dell’anno. Il 2025 non sarà facile perché molte delle problematiche non sono dovute a scelte fatte da noi, ma le abbiamo subite». Beltrame si appella all’Ue perché faccia blocco comune: «Deve agire il prima possibile per riuscire a salvaguardare e a mantenere sana e viva la sua industria».
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