Da Poste a Generali, la via per rafforzare l’Europa contro i dazi di Trump
Le operazioni su Tim, Versace e Natixis mostrano la strada per creare campioni capaci di fare fronte alla tempesta dei dazi

Gli Stati Uniti non sono un nostro nemico, dobbiamo sempre ricordare che sono venuti in Europa per liberarci dal nazifascismo e hanno contribuito alla prosperità dei decenni che sono seguiti. Stati Uniti ed Europa insieme sono state le grandi paladine della democrazia liberale, che è il più avanzato livello delle istituzioni che nella storia l’uomo abbia raggiunto.
Continuano ad essere un nostro alleato ma la presidenza di Donald Trump segna una frattura, perché in questi primi mesi ha fatto una serie di interventi che cancellano, si spera temporaneamente, l’aggettivo liberale al sostantivo democrazia.
E perché considera l’Europa un antagonista economico che danneggia gli Stati Uniti e che quindi va punito. In questa lettura della realtà c’è una cosa vera ed è l’adagiarsi dell’Europa sotto l’ombrello militare pagato dagli americani. Il resto non risponde ai fatti, anzi in molti settori, difesa compresa, è stata la pressione americana, insieme alla subalternità e alla divisione tra i Paesi europei, a determinare il sacrificio di alcuni settori economici. Quando il vice presidente J.D. Vance ci intima di non sviluppare l’intelligenza artificiale e di non regolare le tecnologie fa in maniera esplicita quello che in passato altre amministrazioni hanno fatto in maniera più sottile.
La frattura
C’è una frattura quindi che costringe l’Europa a ridefinire strategie e modello di sviluppo. Come, ce lo hanno indicato Mario Draghi con il suo Rapporto sulla competitività europea ed Enrico Letta con il suo Rapporto sul futuro del mercato unico. In tutto questo però ci sono almeno due livelli di problemi da affrontare. Il primo, congiunturale, è legato ai dazi e ai provvedimenti che Trump vara a ritmo quotidiano. Le implicazioni dei dazi sono complesse. Anche se il presidente è diabolicamente abile nel venderli come se fosse una cosa che pagano gli altri, in realtà sono una gigantesca tassa sui consumatori e sulle imprese del Paese che li impone. Quindi sarà dai portafogli americani che usciranno quei soldi che, Trump spera, andranno a ridurre il deficit del Tesoro Usa, mentre il danno per gli altri è che venderanno meno.
L’Europa farà bene a non cadere nella trappola di una guerra insensata. La proposta di zero dazi reciproci sui beni industriali da portare ai negoziati va nella direzione giusta. Gli effetti collaterali dei dazi sono molteplici, fanno crescere i prezzi e quindi causano inflazione, aumento dei tassi di interesse e riduzione dei consumi e probabilmente anche degli investimenti, deprimono il commercio internazionale e la crescita dell’economia globale.
Il problema non sono solo i dazi, minacciati, messi, sospesi, perché quello che caratterizza questi primi mesi trumpiani è l’incertezza. Questa incertezza viene letta da molti come il sintomo della mancanza di una strategia, di una valutazione adeguata degli effetti di ciascuna decisione. Di navigazione a vista. E l’incertezza è il primo nemico della crescita e degli investimenti.
Ma se la sua gestione da parte dell’Europa richiede risposte tattiche, è chiaro che non sarà possibile aspettare di vedere come andrà a finire per definire le strategie. Che dovrebbero avere alla base un unico semplicissimo obiettivo: rafforzarci. Cominciando dal basso, dalle singole imprese. Abbiamo segnali positivi in Italia in questo senso, il fatto che Poste abbia acquisito il pacchetto di controllo di Telecom Italia, che Prada abbia acquisto Versace. È un segnale positivo il memorandum che Generali ha firmato con il gruppo francese Bpce e la sua Natixis per la creazione di una joint venture di respiro globale nel risparmio gestito (e c’è da augurarsi che vada in porto e non sia fermata dal provincialismo miope dei nostri governanti). Per essere più forti bisogna essere più grandi e per esserlo abbastanza non basta essere campioni nazionali ma bisogna essere campioni europei.
Nuovi mercati
La necessità di avere spalle larghe vale anche per imprese di dimensioni minori, perché il contesto impone almeno due cose: la prima è compensare almeno parte di ciò che si perderà in America cercando nuovi mercati, il che comporta investimenti e rischi rilevanti, e per affrontare gli uni e gli altri è necessaria una dimensione adeguata. La seconda ragione è perché investire in innovazione è più che mai indispensabile non solo per competere ma anche per sopravvivere. L’enfasi sull’intelligenza artificiale, sui big data e quant’altro non è una moda, stanno avvenendo trasformazioni profonde nel modo di progettare, produrre, vendere e investire.
Le istituzioni dovrebbero accompagnare questo processo e spingere per l’evoluzione, non il contrario. Chiedere di bloccare il Green Deal è l’esempio di una visione retrospettiva, il cambiamento climatico è un problema reale e non è negandolo che lo si affronta. Più che bloccarlo i governi dovrebbero battersi per migliorarlo ed essere capaci di essere più vicini alle imprese e sostenerle. Le risorse che possono mettere in campo vanno utilizzate per finanziare l’ingresso delle imprese danneggiate in nuovi mercati e i loro progetti di innovazione e di sviluppo.
La forza e la dimensione valgono per le imprese come per gli Stati. L’unica dimensione che può darci la forza per mantenere i nostri valori e il nostro benessere è quella europea, e quindi è necessario anche qui un balzo in avanti. L’Europa deve dotarsi di una difesa comune ed è bene che questa difesa venga finanziata con fondi europei, come con risorse europee adeguate devono essere sostenute la transizione energetica e tecnologica. Il che vuol dire che l’Europa dovrà dotarsi di una capacità fiscale e quindi di un ministro del Tesoro e delle Finanze. Che dovranno essere fatti avanti rapidi per integrare le reti e avere un mercato unico dell’energia, delle telecomunicazioni, dei capitali, che ci vorrà una politica industriale per spingere l’innovazione in settori chiave come spazio, nuovi materiali, scienze della vita, energia, l’hi tech e difesa stessa. Per finanziare almeno in parte tutto ciò il primo passo potrebbe essere far pagare le tasse in Europa a chi fa fatturato e utili in Europa, e farle pagare nella misura giusta, per esempio eliminando i paradisi fiscali che pullulano nei territori dell’Unione.
La leadership delle imprese
Un libro dei sogni? Forse. Ma oggi i nostri sonni sono popolati da incubi che non svaniscono al risveglio. C’è una cosa che le imprese potrebbero fare, svegliarsi consapevoli di essere un pezzo della classe dirigente di questo Paese e dell’Europa, alzare lo sguardo e allungare l’orizzonte ed esercitare la loro pressione per spingere i governi a favorire e non invece rallentare il cammino verso una Europa capace di garantire il futuro di tutti.
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