Una ditta di Marca per il ponte di Genova: «Noi, sospesi nel vuoto a 50 metri d’altezza»
TREVISO. C’è anche un’azienda trevigiana sotto l’arcobaleno che illumina il nuovo Ponte San Giorgio a Genova: è la Euroedile di Paese, che sull’ormai ex Ponte Morandi ha lavorato a una rampa di raccordo costruendo i ponteggi per la ristrutturazione.
Anche su questo raccordo nel febbraio scorso erano state rilevate alcune criticità strutturali che dovevano essere sistemate per rendere possibile l’apertura del nuovo viadotto, Euroedile quindi ha progettato «un ponteggio elettrico per la ristrutturazione dei muri laterali, mai montato prima su una pendenza vicina al 40%» fa sapere il titolare Nereo Parisotto.
Guardando il viadotto, qual è la porzione su cui avete lavorato?
«Dando le spalle al mare, è il raccordo a destra. Il ponte si infila dentro la montagna da una parte con due gallerie, dall’altra abbiamo fatto “l’elicoidale” che lo fa immettere sull’autostrada verso Milano».
È una porzione di ponte rimasta in piedi dopo il crollo di due anni fa, che tipo di intervento serviva quindi?
«Parliamo di una sorta di rampa sulla quale bisognava far lavorare moltissime maestranze, perché i tempi di lavorazione erano stretti. Dovevano rinforzare le colonne, rifare i cordoli e l’impalcato. Ci siamo chiesti in che modo tante imprese potessero lavorare contemporaneamente, e abbiamo concepito un ponteggio particolare, mai provato prima, che prevede una struttura molto snella per non occupare le vie di corsa superiori, e consente di lasciare spazio ad altre aziende. C’erano crepe e ammaloramenti gravi da sistemare».
Difficoltà operative e rischi particolari?
«Un ponteggio sospeso montato in curva è sempre complicato. Qui eravamo a 50 metri d’altezza, e la curva aveva un raggio strettissimo. La sfida era anche sui tempi, ci chiedevano di fare in fretta e ci abbiamo messo cinque mesi, un tempo rapidissimo per un’opera del genere».
E con il lockdown in mezzo.
«Abbiamo sempre lavorato, ma è stata una corsa a ostacoli. Noi veneti siamo andati in lockdown qualche giorno prima delle altre regioni, e per noi è stato un grosso problema. Non nego che nei primissimi giorni ci fosse anche parecchia diffidenza nei nostri confronti. Poi però il lockdown ha coinvolto tutta Italia, e le persone hanno capito. Grosse difficoltà operative, comunque: non era facile trovare da mangiare o da dormire, bisognava procurarsi le mascherine e fare la massima attenzione».
Quante persone hanno lavorato a Genova?
«Hanno lavorato sul sito una quindicina di persone, altri sono rimasti a Treviso (ingegneri e progettisti, addetti alla preparazione dei materiali), in totale una trentina di addetti».
Imprevisti?
«No, abbiamo qualche santo protettore evidentemente. Studiamo tutto nei minimi dettagli, siamo su 47 cantieri in contemporanea, cerchiamo di prevedere tutto ma qualcosa di imprevedibile c’è sempre. Finora è andato tutto bene».
Quanto vale economicamente un cantiere del genere?
«Diciamo che è un cantiere importante. Ci hanno chiamati per la nostra bravura, non fatemi dire cifre. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto, con una tecnologia ad altissimi livelli mai utilizzata prima».
E oltre il valore economico, cos’ha significato per voi lavorare su un luogo come questo?
«Emotivamente è stato fortissimo. I ragazzi sapevano che partivano con l’auto da Treviso e non avrebbero trovato da dormire e da mangiare, ma nessuno ha mai detto di no, né sollevato obiezioni. Partivano e andavano. Volevano esserci, sapevano di lavorare a un’impresa di grande significato». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © il Nord Est