Vertenza Wärtsilä, sono 850 i posti a rischio

Presidio di lavoratori, sindacato e istituzioni fuori dallo stabilimento triestino dell’azienda produttrice di motori per uso navale dopo l’annuncio della multinazionale finalandese di voler chiudere la produzione nel capoluogo giuliano. Piga (Cgil): «Oltre ai 450 diretti alla produzione la chiusura investe almeno altri 400 lavoratori nell’indotto»

Il presidio fuori dalla Wärtsilä di Trieste
Il presidio fuori dalla Wärtsilä di Trieste

TRIESTE. «Quanto annunciato da Wärtsilä è un fatto gravissimo e inaccettabile. Una multinazionale di questo peso non può prendere una simile decisione sui due piedi. Ora vedremo cosa materialmente si potrà fare negli incontri con l’azienda e con le istituzioni che si rendono necessari a strettissimo giro. Parliamo di 450 persone che, se questa delocalizzazione selvaggia andrà a buon fine, perderanno il lavoro. In una Trieste che ha già pagato tanto».

Villiam Pezzetta, segretario generale di Fiom Cgil Fvg, detta la linea del sindacato dinnanzi all’ennesimo annuncio di una multinazionale – un colosso 4,78 miliardi di euro di ricavi nel 2021, +4% rispetto all’esercizio precedente – che si accinge a lasciare Trieste senza troppi convenevoli, con una pec inviata alle organizzazioni sindacali e un comunicato agli organi di stampa. Quale linea? «Ci batteremo per difendere questi posti di lavoro_1.41566507» dichiara Pezzetta. . 

Ed è tutt’altro che un modo di dire. A valle dell’annuncio, dilagato a Trieste e oltre come l’onda di uno tsunami, fuori dalla fabbrica si sono ritrovati alla spicciolata dirigenti sindacali di tutte le sigle metalmeccaniche, istituzioni e associazioni datoriali, a partire dall’assessore regionale al Lavoro, Alessia Rosolen, e dal presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti
nessun accordo o appuntamento a monte.

L’approdo fuori dai cancelli di Wärtsilä Italia (ex Grandi Motori Trieste) è stato poco meno che spontaneo. Un dovere, una necessità per portare la propria, incondizionata solidarietà ai lavoratori che di questa decisione, presa lontano da Trieste – la  sede legale della multinazionale è a Helsinki – di  ma di cui la città giuliana pagherà da sola l’intero prezzo, sono le principali vittime.

La multinazionale quantifica in 450 gli esuberi, ma dimentica l’indotto, che supera le 400 unità. Così il prezzo della chiusura di Wärtsilä lievita a 850 posti di lavoro che rischiano di  essere polverizzati. Troppi come evidenzia Pezzetta in una Trieste che sta già facendo i conti con la crisi di Flex, approdata al tavolo del Mise con il suo carico di 280 esuberi dichiarati, e ancora con quella di Queen’s (ex Principe) che ha annunciato la chiusura dello stabilimento il 30 settembre 2022 quando lascerà a casa 49 persone. Si fa presto a fare i conti. Sono ben oltre mille le persone che Trieste rischia di perdere nella manifattura. 

Quanto a Wärtsilä, «avevamo lanciato l’allarme da mesi – dichiara il segretario generale di Cgil Trieste, Michele Piga -, perché non c’era chiarezza da parte dell’impresa sul progetto industriale e sapevamo di investimenti fatti in Finlandia sul nuovo stabilimento. La notizia che arriva ora ha però dimensioni drammatiche: investe 450 lavoratori diretti alla produzione più minimo altri 400 nell’indotto per un totale di 850 persone in una struttura economica e occupazionale come quella di Trieste – continua Piga – dove assistiamo a un trend sempre più accentuato di abbandono dell’industria, con ricadute pesantissime sull’economia, l’occupazione, la tenuta sociale». 

Fuori dall’azienda, a metà mattina, si è formato un presidio animato da lavoratori, usciti alla spicciolata dalla fabbrica, assieme a rappresentanti delle parti sociali, delle istituzioni e come detto delle associazioni di categoria.

Un abbraccio forte e determinato che si è stretto simbolicamente attorno ai lavoratori di Wärtsilä, per dar loro coraggio e mandare all’azienda un messaggio forte e chiaro. Lo firma per tutti Piga: «Siamo pronti ad avviare una nuova vertenza la cui base sarà la strenua difesa di questa realtà produttiva e della sua occupazione». 

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