Vinitaly, l’importatore Usa: «Disposti a spendere massimo venti dollari per una bottiglia, è la loro soglia psicologica»

Julius Angelini distribuisce vini veneti e friulani in 12 Stati in America: «Trump potrebbe cambiare idea, dazi al 20% non ce li aspettavamo»

Maurizio Cescon
Al centro Julius Angelini con i vignaioli Livon del Collio goriziano
Al centro Julius Angelini con i vignaioli Livon del Collio goriziano

«I 20 dollari per una bottiglia di vino italiano sono una soglia psicologica, una barriera. Se vai oltre quel prezzo, rischi di andare fuori mercato, di vendere di meno». Julius Angelini, americano del Connecticut di origini marchigiane, mancava dal Vinitaly dal 2019, ora è qua, tra gli stand dei viticoltori che ha in portafoglio. «L’Ice mi ha invitato e sono venuto, come molti miei colleghi, non potevamo perdere l’occasione», racconta. È un ingegnere chimico e come molti americani dopo la laurea ha pensato di fare qualcosa d’altro di non attinente ai suoi studi, ovvero vendere vino negli Usa, cosa che gli riesce egregiamente da oltre 35 anni.

Con lui è inevitabile parlare di dazi, visto che il provvedimento voluto dal presidente Trump è fresco di firma con il pennarello nero, dalla scrivania di legno massiccio nel giardino delle Rose della Casa Bianca, che tutto il mondo ha visto in diretta. «Sono due settimane che anche nel nostro ambiente non si parla d’altro – spiega –. Mi ha intervistato il Washington Post, ho parlato direttamente con senatori e deputati, lo scambio di opinioni è stato ampio. Certo se Trump avesse applicato tariffe del 200%, sarebbe stata la fine per tutta la filiera. Noi ci aspettavamo un 10%, sembrava una cifra ragionevole. Invece ha applicato il 20%, che è uno choc per molta gente».

Angelini infatti ritiene che quella cifra, 20% di tasse aggiuntive, sia in realtà una sorta di “moltiplicatore”, ovvero il consumatore finale potrebbe pagare una bottiglia anche il 30, 40% in più rispetto a oggi. «Tutti negli Stati Uniti – aggiunge l’imprenditore – lavoriamo con margini molto risicati, molto stretti. È inevitabile che una parte dell’aggravio di costi sarà caricata sul consumatore. Tra importatore, distributore ed enoteca o ristorante, ognuno potrebbe accollarsi un terzo della tariffa aggiuntiva, ma con i vari passaggi chi beve il calice di Prosecco, di Amarone o di un uvaggio del Collio, pagherà ben di più. Il Pinot grigio o il Prosecco rientrano nella fascia fino a 20 dollari la bottiglia, è una cifra accettata da buona parte dei consumatori medi negli Stati Uniti. Ma se andiamo oltre, e con i dazi andremo sicuramente oltre, si rischia il contraccolpo negativo».

Angelini, però, che dal Nord Est importa i vini di Livon del Collio, il Prosecco Docg Carpenè Malvolti e il Pinot grigio della cantina Montelliana, oltre a un paio di etichette di Amarone, non esclude sorprese. O meglio, veri e propri colpi di scena. «Trump potrebbe fare marcia indietro - osserva - , è un’ipotesi da tenere in considerazione. A volte sembra che il presidente non faccia cose razionali, ci aspettavamo, come le ho detto, delle tariffe più basse nei confronti dell’Unione europea e di altri Paesi. Io dico che potrebbe essere il più grande errore in economia degli ultimi 100 anni, poi vedremo come andrà a finire. So che ci sono trattative in corso, fino all’entrata in vigore dei dazi sul vino (prevista il 9 aprile) non è detta l’ultima parola. Ma ci vorrà tanta cautela e tanta pazienza».

Angelini è un amante del buon vino che si produce tra Veneto e Friuli e negli anni è riuscito a distribuirlo e a farlo conoscere in una dozzina di Stati americani, nella costa Est, ma anche in Texas e nel Sud. «Ogni Stato americano ha una sua legislazione in fatto di dogana, di tasse di trasporto e per la vendita del vino - conclude - che sono a volte retaggio di vecchie leggi legate al periodo del proibizionismo o venute subito dopo. Non è facile districarsi in mezzo a questa burocrazia, io infatti ho 12 collaboratori che lavorano con me. Adesso con le tariffe appena introdotte avremo anche lavoro aggiuntivo per interpretare le norme. Gli americani amano i bianchi del Collio friulano, li vendiamo molto bene. Ma il Collio ha anche dei rossi fantastici, che sono sottovalutati. È un mondo ancora da scoprire».

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