Vino, il Collio studia un nuovo bianco Doc con i vitigni storici

Con una decisione approvata con il 97% dei voti i9n assemblea, il Consorzio istituisce un tavolo tecnico per creare una nuova categoria di vino ottenuto esclusivamente con le varietà Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana

Maurizio Cescon

Questa potrebbe essere davvero la volta buona, dopo diversi tentativi andati a vuoto, infiniti ripensamenti e cambi di strategia. Il Collio punta a realizzare un vino bianco Doc esclusivamente da uve autoctone che identifichi il territorio, che possa diventare una bandiera in Italia e nel mondo e che rappresenti la cima della piramide delle produzioni aziendali.

Il Consorzio, che ha appena concluso le celebrazioni per i 60 anni di vita (è tra i più antichi d’Italia), nella riunione di martedì sera ha infatti ufficializzato, con una votazione “bulgara”, il 97% di favorevoli e zero contrari, la proposta di lavoro per l’introduzione di un nuovo vino fatto solo con le uve di Friulano (l’ex Tocai), Ribolla gialla e Malvasia.

Il disciplinare attualmente prevede la possibilità di utilizzare tutti i vitigni previsti dalla Doc Collio per produrre il Collio bianco e il Consiglio di amministrazione ha ritenuto di dover valutare la possibilità di introdurre una nuova categoria di vino bianco regolamentato dal disciplinare di produzione Doc Collio.

Il Consorzio pertanto istituirà un tavolo tecnico che andrà a stabilire le caratteristiche, le percentuali, i tempi di uscita e il nome di questo nuovo vino. Le tappe del percorso prevedono di mettere nero su bianco tutte le varie regole, comprese le rese delle uve per ettaro, e di votare nuovamente entro la primavera. Quindi sarà inviata la formale richiesta di autorizzazione al Ministero delle Politiche agricole e della sovranità alimentare, che dopo un passaggio all’Unione europea, dovrebbe dare il definitivo via libera.

Ma i vignaioli che vorranno già imbottigliare il Collio bianco potranno farlo, in deroga, già dalla vendemmia 2025. E visto che il progetto è passato a stragrande maggioranza, moltissimi vorranno tuffarsi nel business che si preannuncia redditizio, soprattutto dal punto di vista dell’immagine.

Sì perchè in realtà un vino Collio bianco esisteva già fin dagli anni Sessanta, quando fu inserito nel Disciplinare. Nel 1991, il Consorzio dell’epoca stabilì che, per fare il Collio bianco potevano essere utilizzati anche vitigni internazionali. Ma ciò non portò fortuna al bianco storico, che venne quasi accantonato, messo in un angolo, mentre le aziende che si imponevano sui mercato lanciavano i loro vini, sempre qualitativamente eccellenti, ma mai legati da un discorso territoriale.

Sono stati 4 produttori, ovvero Kristian Keber, Andrea Drius, Fabjan Muzic e la Cantina di Cormons, qualche anno fa, a riesumare il nome Collio bianco, ma a realizzarlo esclusivamente con le tre uve autoctone, Friulano, Ribolla gialla e Malvasia. Il loro prodotto, piano piano, ha preso piede, si è fatto apprezzare anche fuori dai confini del Friuli Venezia Giulia, tanto che nell’ultimo anno sono riusciti a vendere più di 120 mila bottiglie.

Al nucleo originario di pionieri si sono aggiunti altri vignaioli del Collio, come Marcuzzi, Korsic, Maurizio Buzzinelli, e La Rajade e adesso molti altri saranno della partita. I pionieri preferiscono mantenere il profilo basso e fare gioco di squadra. «Non abbiamo inventato niente - dichiara Fabjan Muzic - , nessun merito particolare, semplicemente abbiamo creduto a una cosa che c’era già. Nè vogliamo imporre nulla a nessuno dei nostri colleghi, chi vorrà fare questo vino lo farà, senza obblighi. L’obiettivo è offrire al consumatore, che è sempre più esigente e attento, un vino bandiera del territorio, come il Barolo per le Langhe o il Chianti in Toscana, o l’Amarone per la Valpolicella. Puntiamo al mercato italiano, i numeri sono in crescita, c’è apprezzamento».

Alcune regole fondamentali caratterizzeranno il bianco del Collio. Dovrà avere una base di almeno il 50% di Friulano, dovrà essere imbottigliato solamente nelle tipiche bottiglie del Consorzio, in etichetta il logo “Collio” dovrà essere più grande e rilevante di quello aziendale, dovrà rappresentare la carta d’identità del luogo, nel rispetto della qualità e della tradizione. Ultimo step, ma forse il più importante per sfondare, la scelta del nome. Le proposte per adesso sul tavolo parlano di “Storico” o “Classico”, ma il Consorzio è aperto a prendere in esame anche altre idee.

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